Recensione: Diamonds Are Forever
E’ una vera resurrezione quella che investe una band storica per l’hard rock americano, assente dagli scaffali dei negozi da ben tredici anni: è infatti al 1992 che risale l’ultima fatica da studio, quel “The Wish” che sancì l’ultimo di una serie di split, e che per l’epoca sembrò essere quello definitivo.
I tempi invece hanno di nuovo smentito le attese, e i nostri, raggiunti dal singer John Levesque (Montrose, Wild Horses, Shout), in sostituzione del deficitario Rick Stanford, si riscoprono rocker con una line-up che oltre al cantante manca anche di uno dei membri fondatori, Micheal Diamond, già dipartito nel 1984, e rimpiazzato in prima battuta da Mike Christie e oggi da Adam Kury. Restano comunque i “pezzi” originali Michael Prince (tastiere e chitarre), Jeff Poole (batteria) e Roger Romeo (chitarre).
Autori di album straordinari come “A Diamond Is A Hard Rock”, “Out On Bail” e Town Bad Girl”, i Legs Diamonds devono oggi fare i conti con quella che dal 1977 al 1990 divenne una leggenda, considerando che il quintetto di San Francisco rappresentava la versione iper-melodica e americaneggiante dei Deep Purple, ma la realtà è ben lontana dalla magia creata con gli album sopra citati. Il sound si è modificato secondo i dettami dei tempi, e il songwriting non è più brillante come una volta. Inoltre Levesque è probabilmente una delle scelte più fallimentari per la riproposizione di un monicker tanto altisonante: la sua voce, quasi perennemente filtrata – anche se non in maniera esagerata – fa troppo spesso il verso a Bon Scott, e, come se non bastasse, a rincarare la dose ci pensa una composizione decisamente derivativa, non più paragonabile ai massimi rappresentanti dell’art/pomp (Styx e REO Speedwagon), ma piuttosto va notificata una sterzata verso sonorità più dirette e minimali. “Good Time” è l’esempio più lampante di quanto detto, con “Highway To Hell” a gridare vendetta, mentre altri episodi – la opening track “Don’t Turn Away, “Rain Down” – si affacciano addirittura su panorami alternative. A risollevare le sorti del platter ci pensa sempre la tastiera di Prince, evocativa dei bei tempi nella purpleiana “King Of Speed” e nel break centrale della ripetitiva “Time Will Never Change”. Molto azzeccata la lunga ballad “Will You Remember”, dal flavour quasi Judas Priest, con le sue armonizzazioni vocali, seppur penalizzata dall’appesantimento di effetti vari, e letteralmente rovinata dall’interpretazione di Levesque.
Direi che solo con “Loneliness” si riassapora il gusto per quell’hard rock cromato e magniloquente, ma è sicuramente troppo poco, anche se offre un’altra sfaccettatura interpretativa da parte di Levesque, in grado di stupire per versatilità, anche se, come già detto, gran parte delle sue prove su questo album sono poco apprezzate dal sottoscritto.
Si torna su territori Ac/Dc con “Get You Home”, che annovera comunque un buon refrain, mentre “Change” gioca sul contrasto tra il riffing à la Deep Purple e il cantato altalenante di Levesque, per una song che non decolla, anzi si trascina verso la fine con un break tutt’altro che azzeccato. Chiude un album forse troppo lungo da giustificare la presenza di due bonus track un’altra lunga ballad, “For All We Know”, stavolta strumentale, di cui faccio fatica a capire il senso.
E’ con grande rammarico, dunque, che sono costretto a bocciare il come back di una delle band più apprezzate nel panorama hard rock americano anni ’80, ma questo album è solo un lontano parente di una produzione che non era poi così sbagliato considerare chiusa. Ai nostalgici consiglio di rispolverare i vecchi e veri Legs Diamond.
Tracklist:
- Don’t Turn Away
- Time Will Never Change
- Good Time
- King Of Speed
- Trouble
- This Time Around
- Let It Go
- Will You Remember
- Rain Down
- Loneliness
- Get You Home
- Change (bonus track)
- For All We Know (bonus track)