Recensione: Difficult to cure
Dopo l’esperienza con un cantante dal carattere difficile come Bonnett, il chitarrista in nero decide di cambiare ed assolda un giovane dalla bella voce e dal carattere più malleabile: Joe Lynn Turner. Nel gruppo entrano anche David Rosenthal alle tastiere e Bobby Rondinelli alla batteria.
Questa formazione è sotto il totale controllo musicale e caratteriale di Mr. Blackmore, il che evita la fastidiosa necessità di gestire altre personalità ingombranti e sempre pronte a criticare o metter i bastoni tra le ruote al grande disegno musicale del nostro chitarrista preferito.
Ironie a parte “Dtc” è un disco AOR al 300% e tutto è melodia e suoni patinati. I buoni brani non mancano, e da citare è senza dubbio “Spotlight kid” da cui molti grandi chitarristi emersi qualche anno dopo hanno tratto numerosi spunti. “Spotlight…” è veloce, melodica e con un intreccio chitarra/tastiera che farà, come dicevo, scuola; molto rilevante è anche “Can’t happen here” dal riff “acchiappante” e dal ritornello di grande efficacia radiofonica; buona anche “I surrender” che, pur essendo una cover, riuscirà a diventare un grande successo commerciale con la sua facile melodia e la sua struttura da rock Fm; personalmente trovo piacevolissime anche “Magic” che ha una splendida parte vocale ed un feeling più sentito, e lo strumentale “Maybe next time” in cui R.B. suona con trasporto.
La cosa più magniloquente del disco è comunque il brano finale, ovvero “Difficult to cure” che non è altro che un riarrangiamento in chiave pop/rock dell’”Inno alla gioia” della nona sinfonia di Beethoven.
I Rainbow riescono a stupire ancora e un altro colpo va a segno in pieno, convincendo nuovi fans in giro per il mondo.