Recensione: Digital Noise Alliance
Con l’arrivo di Todd La Torre nel 2012 i Queensrÿche hanno inaugurato una terza fase della loro carriera.
Se i primi cinque dischi (EP d’esordio incluso) tracciano un’immensa ascesa a suon di capolavori, a partire da Promise Land (1994) l’apertura verso il rock mainstream, a tratti alternative, a tratti dilatato, inaugura un secondo periodo caratterizzato da scelte non sempre apprezzate da fan e addetti ai lavori. Vari picchi e altrettante cadute compositive hanno probabilmente portato alla spaccatura dell’asse storico della formazione, prima con l’abbandono di DeGarmo e poi con la travagliata separazione da Tate.
La pesante eredità di quest’ultimo è passata al quasi sconosciuto singer della Florida, che, pur con un fugace passaggio nei Crimson Glory del post Wade Black, ha rappresentato una scommessa alla corte di Wilton, Jackson e Rockenfield.
Al netto dei nostalgici di Tate, l’arrivo di La Torre sembra aver portato una rinnovata serenità all’interno della band, oltre ad aver influito sul ritorno a sonorità prettamente metal riemerse già con l’omonimo Queensrÿche del 2013.
Sebbene non sia più tempo di sold out nelle grandi arene (a parte i festival estivi), ma di tour in piccoli e medi club, l’importanza dei Queensrÿche rimane scolpita nella storia dell’heavy metal.
Padrini di sonorità raffinate e intense, fonte di ispirazione e apripista per una serie di act dalla minor fortuna (Heir Apparent, Lethal, Leviathan, Mystic-Force, Titan Force…) o del tutto sconosciuti (si veda il catalogo di recupero della Arkeyn Steel Records), nelle seconda parte degli anni Ottanta assieme ai Crimson Glory hanno costituito i due poli speculari di questa tendenza “colta” del metal made in USA.
Passando dal total black dei primi album, al look steampunk “vittoriano” del periodo Rage for Order e successivamente all’unione di camicie di seta e abbinamenti sgargianti, anche a livello di immagine hanno dato seguito all’eleganza sofisticata del loro sound.
Digital Noise Alliance, quarta prova con La Torre al microfono, segna importanti cambiamenti nella line-up, con il (definitivo?) avvicendamento tra Rockenfield e Casey Grillo (ex Kamelot) alla batteria, e col rientrante Mike Stone (visto già su Operation: Mindcrime II del 2006) al posto di Parker Lundgren alla seconda chitarra.
La direzione della band sembra più che mai nelle mani di Wilton, che già nell’opener In Extremis fa tesoro delle doti di La Torre per ricondurci alle atmosfere dei primi dischi. I pregi strumentali della formazione sono fuori discussione, anche se rimane il rimpianto per il bellissimo fraseggio maideniano posto in chiusura che sarebbe potuto essere sfruttato maggiormente per tutta la durata del brano.
I Queensrÿche restano pienamente riconoscibili anche in tracce meno concitate come Chapters e Lost in Sorrow, grazie al lavoro accurato di Wilton sulle melodie e alle aperture dei refrain, con registri diversificati e melodrammatici.
Non mancano nemmeno hit di gran livello. Il riff di Sicdeth proviene direttamente dal 1982, aprendo la strada a un brano diretto, esempio di come rielaborare il metal classico rimanendo se stessi. La strofa principale ritorna dopo ennesime variazioni, culminando nella superba parte solista centrale, in un crescendo emotivo di rara bellezza. Out of the Black, anch’essa non a caso legata al primo periodo della band, non può che risplendere nelle melodie, trovando equilibrio e grazia nel ritornello e nelle evoluzioni vocali.
Accanto a tali apici troviamo l’andamento cadenzato e versatile di Behind the Walls e i tratti epico-cibernetici di Nocturnal Light, ma anche momenti che denotano una certa stanchezza. La parte conclusiva dell’album soffre infatti di un senso di déjà vu.
Forest si traduce in una ballad trasognante assai poco incisiva, pagando un approccio stilistico anonimo, mentre Hold On, pur rivelandosi il pezzo più progressive del lotto, scivola via senza lasciare segni tangibili. Realms ha una buona partenza ma si incanala su sentieri già sperimentati. Tormentum porta in dote idee pregevoli, è però penalizzata da un’eccessiva lunghezza e da un intermezzo centrale che ne smorza potenza e ambizioni. La bonus track del classico Rebel Yell di Billy Idol funge da divertissement senza aggiungere altro all’economia del disco.
Digital Noise Alliance si fregia di una prestazione vocale e strumentale sopra la media (degno di nota anche l’asse ritmico Jackson–Grillo) e mostra maggiore fluidità rispetto ai tre episodi precedenti, presentando alcune tra le più belle canzoni dell’era La Torre. Anche se la scaletta avrebbe guadagnato solidità con due-tre brani in meno, l’identità dei Queensrÿche è sempre presente, dai cori alle melodie, dai cambi di atmosfera ai refrain.
I capolavori degli anni Ottanta rimangono insuperabili, ma va dato merito a una formazione che ha riallacciato un legame con quel periodo, in un’ottica di consolidamento più che di evoluzione, rimarcando che la potenza non necessariamente passa dalla distorsione, ma anche da una costruzione delle armonie che ha fatto storia.