Recensione: Dimension Hatross
Nel posto sbagliato al momento sbagliato. Questa frase che sa di epitaffio potrebbe cercare di sintetizzare al meglio i motivi per i quali questi canadesi non “ce l’hanno mai veramente fatta”. Senza contare che tutti i più celebrati gruppi a partire dai primi anni Novanta hanno attinto a piene mani dalle idee rivoluzionarie dell’allora quartetto del Quebec.
Questa piccola premessa di fondo nel disperato (?) tentativo di far capire ai gentili ascoltatori (e lettori…) che razza di creatura dalle sembianze mai troppo definite sia il progetto Voivod.
Impresa ardua? Forse.
Più che altro perché andare a rovistare nei cassetti della memoria e inquadrare la direzione stilistica del gruppo richiede un tuffo temporale fino alla seconda metà degli anni ’80, quando la proposta musicale fu la premessa a uno scisma stilistico e, oserei asserire, gettò le basi per tutto il calderone di suoni che avrebbero caratterizzato gli anni Novanta. Il Voivod concept riguarda infatti una fantascientifica creatura post-distruzione e attraverso questa entità si materializzano le visioni alienate e aggressivamente pessimistiche di un mondo senza speranza, cupo, buio e svuotato interiormente: una dimensione parallela terribilmente ben architettata e all’interno della quale si consumano mutazioni molto profonde rivelate nella musica e nei testi del quartetto canadese.
Il combo, nato come gruppo speed, pubblicò intorno a metà anni ’80 una manciata di album prettamente orientati al thrash più corrosivo e no compromise: nel 1988 si rese protagonista con la pubblicazione dell’incatalogabile Dimension Hatross, che cambiò le carte in tavola mettendo in discussione i canovacci cardine del rock duro ed evidenziando peraltro il background del gruppo, diviso tra i Pink Floyd più sperimentali e, in maniera minore, i conterranei Rush per la componente progressiva di cui il platter è impregnato. Non possiamo d’altronde dimenticare i palesi riferimenti alla rabbia punk e alla lezione dei grandi Motorhead, che contribuiscono sullo sfondo a completare questa nuova tempesta sonora.
Se Killing Technology (1987) già evidenziava un orientamento che esulava dal decalogo della perfetta thrash band, con timide incursioni in registri progressivi e spunti di notevole pregio che trasmisero ai tempi i primi sentimenti di smarrimento tra i fan, ma che, complessivamente, potevano essere rapportati a un contesto più tradizionale e classificabile nell’approccio, Dimension Hatross rompe definitivamente gli argini e le catalogazioni sonore per ergersi a vera e propria musa ispiratrice di tutti quelli che “oseranno” introdurre sperimentazioni nel rock duro, con sequenze allucinate intrecciate a dissonanze abilmente costruite sull’orlo di un rumorismo aggressivo e cacofonico.
Impeccabili tecnicamente e con la consapevolezza di poter osare nelle costruzioni architettoniche dei brani, i Voivod sfoderano, senza mai essere pretenziosi e seguendo virtute e canoscenza, una prestazione che rinuncia certamente alle velleità stilistiche dello speed metal ribaltando completamente i concetti di ritmica tradizionalmente intesi, ma senza far scemare quella tensione sonora che sembra inseguire sensazioni astratte dove timide reminiscenze punk si incastonano e si alternano a una rabbia psichedelica che trova sfogo negli strilli isterici di chitarre bizzarre ed eccentriche.
L’ album viene rilasciato nel 1988 e tratta di un concept a carattere prettamente fantascientifico. Atmosfere inquietanti e surreali quanto teatrali e paranoiche lo dividono idealmente in due parti: il prologo e l’epilogo, l’alfa e l’omega. Questi sono i cardini del progetto visionario denominato Dimension Hatross sulla possibile esistenza di una nuova dimensione, apertasi in seguito a uno scontro tra due particelle: il protone e l’antiprotone, la materia e l’anti-materia, la razionalità e la follia, l’ordine e il caos. Gli estremi rappresentano i punti fondamentali per capire le coordinate stilistiche e concettuali di tutto il lavoro, che allegoricamente vuole quasi trascendere il significato originario del concept stesso, rapportandolo a una nuova dimensione sonora che da esploratori della musica i Voivod hanno saputo materializzare nell’immaginario dell’ascoltatore. Experiment è l’inizio straziante del muro sonoro a cui il gruppo ci sottopone, seguito dall’inquietante Tribal Convictions, dai virtuosismi bizzarri e isterici. L’ipnotica e “chiassosa” Chaosmongers è l’esempio più fulgido: il lavoro fragoroso delle chitarre dagli imprevedibili tracciati sonori è qualcosa le cui parole non possono argomentare. Soltanto una padronanza tecnica sopra la media e un approccio visionario alla musica possono estorcere allo strumento simili suoni.
Macrosolutions to Megaproblems ha un andamento quasi isterico nel suo incedere: è qui che viene fuori la rabbia punk che distilla parte del Voivod sound.
Ma siamo solo a metà disco. Irrompono le sinistre e oscure atmosfere di Brain Scan, pezzo caratterizzato dalla poderosa quanto martellante sezione ritmica di Away / Blacky. Ma non c’è tempo di tirare il fiato: Psychic Vacuum, che timidamente ci riporta su territori più convenzionali e roboanti, trasmette nei ritmi angoscianti tutto il suo potenziale distruttivo. Chiudono l’esperimento la breve Cosmic Drama, dalle sinistre partiture, e la curiosa cover di Batman, bonus track riproposta nella versione del famosissimo telefilm con Adam West.
In conclusione, risulta difficile argomentare su un disco davvero epocale. Una cosa è sicura: dopo questa prova , nel mondo del rock, nulla è stato più come prima. Riflettete…
Andrea ‘ryche74’ Loi
Tracklist:
1 Experiment
2 Tribal Convictions
3 Chaosmongers
4 Technocratic Manipulators
5 Macrosolutions To Megaproblems
6 Brain Scan
7 Psychic Vacuum
8 Cosmic Drama
9 Batman