Recensione: Dimonios
Gli ORGG sono una band fondata nel 2018 e che si è ritagliata un suo spazio nel panorama black metal, con uno scopo: raccontare le vicende della Guerra Bianca, il fronte alpino della Prima Guerra mondiale, che vide contrapposti il Regno d’Italia all’Impero austroungarico. E sembra che quello della Grande Guerra sia un argomento ricorrente e di grande ispirazione per il black metal, complice il recente centenario della fine della stessa (1918-2018): già lo scorso anno ci siamo già imbattuti nell’eccellente Menschenmühle della one man band Kanonenfieber.
L’artwork è piuttosto rappresentativo della filosofia che anima il loro lavoro: delle bianche montagne dominano la scena, mentre al centro dell’immagine si vedono delle chiare esplosioni, con dei piccoli rivoli di sangue in basso a destra; una scena statica, glaciale e violenta – caratteristiche proprie della Guerra Bianca. L’illustrazione ricorda, molto da vicino, quella di Great white war, e come vedremo, le similitudini non si fermano qui. Già perché il sound proposto in questo “Dimonios” è lo stesso del precedente album, con delle piccole accortezze: un black metal veloce, che mescola elementi del passato a quelli più moderni. È un suono crudo e aspro, come il conflitto bellico: il disimpegno di Vulak alle chitarre è molto apprezzabile, tanto in fase di costruzione, quanto in quella di assolo; già, perché la struttura delle canzoni è piuttosto omogenea a ruota attorno ad un riff principale, che può subire rallentamenti o accelerate improvvise. La compattezza di un disco non vuol dire livellamento dello stesso: gli ORGG riescono a tenere alta l’attenzione grazie alle trame che riescono a tessere, alla loro forza, alle abilità di Vulak alla chitarra e alle linee vocali di L. che danno melodia, spessore e profondità, ed in un certo senso controbilanciano, la costruzione musicale più cruda, creando una proposta molto interessante.
1917 è una gradevolissima intro con un’ottima melodia di piano, interrotta dal suono di una granata; dei back vocals ci conducono fino alla successiva A Darker Shade, caratterizzata da un riffone trash, si sviluppa attorno a questa struttura. Die Eisstad è il brano scelto dalla band come veicolo promozionale disco, veloce. La title track è un omaggio alla Brigata Sassari così soprannominata, ed impegnata nel fronte nord-orientale dell’Italia. Feral War è un malinconico omaggio alla causa animalista durante la guerra; musicalmente il brano è pervaso da un animo oscuro, e crudo: si parla del rapporto tra la battaglia e animali e dei soprusi subiti.
Tanna è un salto nella tradizione popolare veneta: è l’abitante del leggendario palazzo di ghiaccio sarebbe su Cimon del Froppa, abitato dai Crodères, ovvero degli esseri simili agli omuncoli di alchemica memoria, di fattezze androgine senza però essere in grado di provare sentimenti; costruita attorno ad un ottimo fraseggio di chitarra e una linea vocale molto orecchiabile, è uno dei momenti più alti dell’album. Ashes ha un sapore molto heavy e orecchiabile, senza perdere di potenza e aggressività: è un tributo ad un gruppo di soldati scomparsi più di un secolo fa, i cui resti, sono stati trovati soltanto recentemente. Aurona è fredda e glaciale, con il riff più trash, e un’altra preziosa storia da raccontare: quella degli abitanti del Regno di Aurona, che vivono nel cuore della montagna e che hanno rinunciato alla bellezza della vita per inseguire la ricchezza e l’avidità – figure che ricordano molto da vicino i nani di Tolkien. Dulcis in fundo, Testament, il dessert di Dimonios: è il commiato del soldato che parte e non sa se tornerà. momento più violento, più veloce, più black dell’intero disco; azzeccatissima la scelta di quasi “interrompere” la canzone con l’esplosione di una bomba, riproponendo, in chiave musicale, la fine della vita di un soldato, come muore improvvisamente sentendo il rumore di un colpo o di una granata.
Siamo di fronte ad un ottimo album black metal, ben suonato, che propone un sound ricercato, violento, veloce e allo stesso tempo melodico grazie al grande lavoro di L. alla voce e delle tracce di chitarra di Vulak, che prosegue “Great White War”: probabilmente qualche riferimento folk in più, con sonorità che potessero richiamare la zona del Triveneto – teatro della narrazione degli ORGG – avrebbe potuto essere un valore aggiunto, un particolare che poteva fare la differenza. Bellissimi e molto originali anche le tematiche affrontate nelle canzoni, che contengono riferimenti ai miti e leggende che potrebbero essere ignote alla maggior parte di coloro che avranno modo di sentire Dimonios.
Uno di quegli album non solo da ascoltare, ma anche da leggere.