Recensione: Disaster of Reality
Quattro album tra il 1988 e il 1992 e una manciata di demo e split, una discografia intensa e concentrata quella dei Cerebral Fix, nome di culto della scena estrema – nel periodo della Golden Age – che tuttavia non è mai riuscito a ritagliarsi uno spazio di grande visibilità in mezzo a colleghi che qualche copertina in più se la sono guadagnata, pur senza trattarsi del Corriere della Sera o Tv Sorrisi e Canzoni (vedi Carcass, Benediction, Bolt Thrower, Napalm Death). Guardate l’artwork del primo “Life Sucks… and Then You Die!”, osservate il logo della band, lo spirito punk hardcore salta subito all’occhio; eccezion fatta per i Napalm Death, è stata una variante sostanziale rispetto alle altre band coeve dei Fix. Inseriti tout court nel filone del death/grind di fine anni 80, i Nostri hanno certamente sposato quella scena, ma non hanno mai nascosto neppure una loro vena punk/crossover, che di tanto in tanto è tornata a farsi viva.
A oggi forse il loro miglior episodio rimane “Tower of Spite” (1990), ma con “Disaster of Reality”, fresco fresco di pubblicazione, i Fix provano a farci cambiare idea. Della line-up originale rimangono tre nomi, la coppia d’asce Fellows / Warburton, e il batterista Baker (transitato pure per Sacrilege e Cathedral), ma soprattutto il quinto album in studio degli inglesi ritorna sensibilmente alle origini, rimarcando quelle intenzioni punk / hardcore che il tempo aveva progressivamente affievolito, a causa del blindamento di un sound sempre più tetragono e tarchiato.
Quanto ci propongono oggi i Cerebral Fix è sghembo e sciancato, “Disaster of Reality” ha una produzione grumosa, slabbrata, scartavetrata, che non fa assolutamente niente per lisciare il pelo all’ascoltatore e risultare al passo coi tempi. Come avessero registrato un live in presa diretta a una sagra di paese nei dintorni di Birmingham (“Dead Cities”… ascoltare per credere). La scaletta alterna momenti più death metal (ovviamente rigorosamente old school) ad altri hard-to-the-core. Viene da immaginarsi la band in sala prove, immersa nel fumo delle sigarette e circondata da bicchieri e lattine vuote di birra scolata a perdifiato, mentre attacca senza tanti preamboli i pezzi; one-two-three e via, finché c’è fiato e forza nei muscoli delle braccia.
Un album che più immediato e diretto non potrebbe essere, tutto giocato sull’impatto, che in qualche misura (prendete il rimando con le dovute molle) può anche ricordare i passaggi più impulsivi, nervosi e istantanei degli Entombed del bellissimo e sottovalutatissimo (a mio parere) “To Ride, Shoot Straight and Speak the Truth”, magari con meno partenze e irruenza, ma con la stessa schiettezza di fondo. “Disaster of Reality” è un disco che potrebbe scontentare molti, è totalmente privo di appeal per un ascoltatore odierno che non ha mai sentito nominare i Cerebral Fix, non ha tecnicismi di sorta, è grezzo e rozzo, diciamo che se ne fotte un po’. Paradossalmente, nella sua bellicosa sincerità rischia di risultare ostico se non preso per il verso giusto, quello di una urgenza espressiva che non bada all’evoluzione del metal degli ultimi 20 e passa anni, ma che persegue un suo percorso autoctono, anch’esso molto punk come attitudine.
Per quanto mi riguarda è senza dubbio da promuovere, perché ci regala il ritorno di una band vera e di spessore, perché ci ricorda che la musica non può essere confinata unicamente nella tecnica esecutiva cervellotica e onanistica (una direzione che certo metal sta prendendo sempre più arrogantemente), perché tutto sommato è puntellato di buone canzoni, efficaci, incisive, genuine.
Tanto basta.
Marco Tripodi