Recensione: Disciples of Doom
I Misery speaks non sono altro che l’ennesimo prodotto della scena metalcore (e similari) odierna, un ambiente nel quale tutti fanno a gara a copiare le copie di band capostipiti che ai loro tempi furono innovative, ma esercitarono la più sbagliata delle influenze sui musicisti che si lasciarono stregare dal loro sound. La famigerata scena di Goteborg lanciò mode, come ad esempio il riff a pivot o il coro melodico accostato alla strofa in screaming, che furono riprese pedissequamente e mai più innovate da tutti coloro che vennero dopo… se però la prima “generazione di imitatori” (Caliban, Killswitch Engage, As I Lay Dying, Bleeding Through…) fu in grado di dire la sua e “riconfezionare” il genere inglobando tutte le tendenze hardcore e hardcore metal emerse negli anni 90, la seconda ondata invece (ossia quella a cui stiamo assistendo oggi) è del tutto priva di ogni inventiva, unicamente in grado di rubare sonorità altrui ed inserirle nel proprio sound cercando di farle sembrare idee originali.
I Misery Speaks non sono dei novellini, sono al terzo album e la cosa si sente in quanto questo Disciples of Doom è ben arrangiato, registrato e prodotto, un disco orecchiabile che potrebbe fare la gioia di un ipotetico ascoltatore che avesse mediante esso il suo primo contatto con le cosiddette sonorità core-modern-melodic. A chiunque non sia un novellino tuttavia questo album non può fare altro che suonare come un tentativo di restare dietro alle innovazioni ad un mondo musicale che va più veloce, un po’ come quando l’Unione Sovietica, incapace di tenere testa con le proprie forze ai progressi tecnologici degli Stati Uniti, si affidava alle sue spie per rubare idee e brevetti dal mondo occidentale in modo da rimanere agganciata ad esso a livello di competitività militare. I nostri fanno oggi, con minime variazioni sul tema, quello che altri hanno già fatto sette o otto anni fa, ed anche se il loro sforzo si nota, non è proprio possibile premiare canzoni che non mostrano nulla di nuovo, non sono particolarmente tecniche e non sembrano nemmeno avere un’idea artistica ben precisa alla base: non siamo infatti di fronte né ad un platter aggressivo in stile Devildriver / Hatesphere, né ad un prodotto connotato in maniera fortemente melodica come ad oggi va tanto di moda (It Dies Today, Korea, Bring Me The Horizon…). Il rimanere in mezzo condanna i nostri all’ignavia musicale e dunque all’oblio mediatico.
Siamo in un’epoca in cui tutti si arrogano il diritto di comporre musica originale e pretendono di essere ascoltati dal mondo intero, spesso non rendendosi conto non solo di non essere abbastanza bravi per andare a disturbare la gente con le proprie schitarrate, ma anche di non avere nemmeno una “poetica” di base, ossia un’idea artistica che faccia da guida. I grandi artisti sono coloro che sentono un’urgenza espressiva, il bisogno di comunicare qualcosa e che, dopo anni di studio, vari tentativi e sincera dedizione, finalmente riescono ad esprimersi attraverso un metodo che arriva veramente al pubblico e riesce ad arricchirlo oltre che ad intrattenerlo per pochi, fugaci minuti. I Misery Speaks non trasmettono niente di tutto questo, anzi, indirettamente sembrano comunicarci che non è loro interesse esprimersi mediante la musica, ma vogliono solamente adeguarsi al livello qualitativo richiesto ad oggi per pubblicare un disco con un’etichetta, forse per sentirsi realizzati, sentirsi dei grandi ad avere un seguito si scatena ai loro concerti e dice di amarli. Non ci sarebbe nulla di male in tutto ciò, ma motivazioni simili alla fine portano a prodotti scadenti e questo Disciple of Doom ne è la prova.
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Tracklist:
1- Out of the Unknown…
2- Burning Path
3- End up in Smoke
4- A Road Less Travelled
5- Disciples of Doom
6- Obsessed
7- Black Garden
8- Fragile
9- The Swarm
10- Into the Unknown