Recensione: Disciplina Etrusca
VII secolo a.C.: gli Etruschi alitano nel corpo della civiltà italiana, alimentando una misteriosa cultura poi confluita in quella dei Romani.
Per fornire al black metal una solida intelaiatura tematica non occorre pescare dall’iper-inflazionato paganesimo nordico. Anzi sarebbe ideale, almeno a parere di chi scrive, che coloro si mettessero in cammino nelle oscure caverne del nero metallo rinfocolassero le più antiche tradizioni natie. Questo non per alimentare pruriti nazionalistici, quanto per rimarcare che mettere mano a culture diverse da quelle di origine può dar luogo a patetici scimmiottamenti.
Fattispecie cui rifuggono con fierezza i Voltumna (il Fanum Voltumnæ era il cosiddetto ‘santuario federale etrusco’…), ensemble proveniente da Viterbo che, con il presente “Disciplina Etrusca”, centra il secondo album in carriera. Ancora una volta si è di fronte a un lavoro autoprodotto, che meriterebbe – per qualità tecnico/artistiche – di essere oggetto di dignità contrattuale con una label professionale e una distribuzione capillare perlomeno in Europa. Invece, Simone Scocchera e i suoi pard devono combattere strenuamente per imporre la loro musica in un panorama intasato all’inverosimile di band dedite al metal estremo, magari solo per la cotta di un amore passeggero o la voglia di posare per qualcosa di diverso dal solito.
“Disciplina Etrusca”, tanto per fugare ogni dubbio, è un album spaventoso; nel senso che sono più di una le sue qualità tali da renderlo elitario.
Innanzitutto, una densità musicale elevatissima: in soli quarantadue minuti, i Voltumna riescono a condensare una quantità di note impressionante. Tale da richiedere numerosi e reiterati ascolti per riuscire a inserire al posto giusto i pressoché infiniti tasselli mentali che spingono in alto le song del platter. Solo dopo parecchio tempo, difatti, si dipana la tetra, gelida nebbia che avvolge il disco per lasciare posto alla mirabile visione del suo profilo geografico. Un profilo che, malgrado l’enorme quantità di frastagliature, vette, abissi, grotte, rii, altopiani, non perde mai profondità e definizione. Ogni passaggio, anche quelli più complessi, è pienamente intelligibile, con grande beneficio per il piacere d’ascolto; non disturbato dal caos strisciante che spesso tormenta produzioni di questo genere.
Poi, non si può lasciare da parte la mostruosa potenza devastatrice della ‘macchina- Voltumna’, capace di sforare la barriera del suono con vertiginosi blast-beats ma anche di affondare nelle profondità oceaniche con i massicci rallentamenti degli stop’n’go di ‘*-coriana’ memoria (sic!). Davvero un tornado violentissimo, che a volte ricorda, per questo specifico aspetto, il ‘fast black metal’ di mostruosità denominate 1349, Tsjuder, Absu, giusto per citarne qualcuna.
Ma i Voltumna non picchiano duro, durissimo, e basta. Le tastiere e vari effetti speciali fanno spesso capolino fra gli accordi rocciosi scolpiti dalle chitarre, contribuendo così a inspessire un sound già di per sé assai corposo. Alla fine, connotando in una sorta di violentissimo ‘symphonic black metal’ lo stile più prossimo a quello da essi suonato.
E, ancora, impossibile non citare alcune song esemplificative, oltre alla solida tecnica strumentale, del possesso di un talento compositivo di ottimo livello. In particolare, da menzionare “Prophecy Of One Thousand Years” per il suo struggente, straziante urlo di disperazione, da ‘depressive black metal’. La title-track, devastante terremoto in doppia cassa e riffing a tappeto. Impreziosita da melodici break melodici sì da alzare il livello di emotività. “The Alchemist”, sfascio completo. L’epica, leggendaria “Measure The Divine”. E, fatto raro, la riproposizione, con una versione nettamente migliore, di una canzone-mito: “Black Metal” dei Venom!
Difficile trovare dei punti deboli in “Disciplina Etrusca”, volendo cercare proprio le pulci. Semplice. Non ce ne sono. Onore ai Voltumna e alla loro energia, al loro coraggio e alla loro determinazione!
Daniele “dani66” D’Adamo