Recensione: Disconnected
L’eredità è un concetto interessante. Musicalmente possiamo associarla alla capacità di lasciare un’impronta così viva che diventa l’elemento essenziale di un gruppo. Qualcuno potrebbe parlare di mera copia, ma in molti casi è una reinterpretazione di un concetto unico. L’eredità è diversa dall’influenza perché diventa l’elemento principale nel sound di un gruppo. L’influenza, invece, è un’aggiunta che si mescola con tanti altri elementi. In questa sede ci occupiamo dei norvegesi Airbag e del loro quarto disco, Disconnected. Se abbiamo fatto delle premesse è perché in questo caso siamo di fronte a un esempio tangibile di eredità e non di influenza musicale. Le sei tracce di questo nuovo lavoro potrebbero perfettamente essere state, nella loro totalità o in modo parziale, delle canzoni scritte dai Pink Floyd, dai Marillion o dal buon Steven Wilson, sia da solista, sia con i suoi Porcupine Tree. Credo che avendo nominato questi artisti sia molto semplice capire in che mare stiamo nuotando. Le acque sonore che ci circondano sono quelle di quel progressive rock elegantissimo, curato, impeccabile. Dunque acque calme, ma bellissime. Acque che permettono di apprezzare un fondale ricco.
Il rischio, e ci rendiamo che quando si scrive musica si va, sempre, incontro ai dei rischi, è quello di non riuscire a scovare l’originalità. Insomma, a un primo ascolto disinteressato questo Disconnected potrebbe sembrare un bel lavoro di taglio e cucito, dove le stoffe utilizzate sono quelle dei gruppi precedentemente nominati. Soprattutto perché certi elementi richiamano fortemente aspetti di quei gruppi. La voce è un incrocio interessante tra quelle di Steve Hogarth e di David Gilmour. Gli assoli di chitarra e le tastiere sono, invece, di marcata scuola pinkfloydiana. È impossibile non farsi venire in mente questi mostri sacri mentre le canzoni scorrono. D’obbligo, dunque, chiamare in soccorso il concetto iniziale di questa recensione, cioè quello dell’eredità. Grazie a essa tanti grandi gruppi sono nati e hanno contribuito alla crescita della Musica. Senza i Pink Floyd sicuramente ci saremmo sognati i Porcupine Tree, i Dream Theater o gli Anathema. Per questo motivo gli Airbag riescono a regalarci un disco coerente, bello, elegante e piacevolissimo. Un disco da mettere in repeat senza paura di stancarsi.
Andiamo, adesso, a illustrare gli altri elementi che emergono ascoltando con cura Disconnected. Il primo aspetto ad affiorare è che, come intenzione lirica e musicale, è un disco perfettamente accostabile a quel capolavoro dei Porcupine Tree chiamato Fear of a Blank Planet. Ad accomunare questi due lavori c’è la tematica della società attuale, degli obiettivi personali che ci impone e di quanto sia frustrante non raggiungerli. Non solo, entrambi i dischi hanno un tocco di solitudine, di malinconia, di consapevolezza di essere diversi. Questi due lavori sono degli album che fanno capire in quali tempi viviamo e come la vita social ci ha regalato un orrore infinito: siamo pieni d’amici virtuali e, allo stesso tempo, privi di amici reali. Musicalmente abbiamo tracciato le linee principali di questo lavoro, ma è buono “condire” questo piatto segnalandovi altre sfumature importanti. In alcuni punti Disconnected prende certe pieghe post rock stile Sigur Rós, in altri ci ricorda l’aspetto progressivo dei grandi Archive, una delle principali band del trip hop, e per finire la title-track del disco include una linea di batteria che sembra quasi un omaggio ai Tool e ai già citati Porcupine Tree. Se volete avvicinarvi cautamente al disco, vi consigliamo la terza traccia “Slave”, brano che dà l’idea della solitudine e dell’intimità che regnano come mood di questo lavoro. Altra canzone da segnalare è proprio “Disconnected” che con i suoi tredici minuti regala un brano degno dei Pink Floyd.
Gli Airbag sono riusciti a sfornare un disco ipnotico che cattura l’ascoltare. Sono riusciti a scrivere un disco allo stesso tempo attualissimo e senza tempo. Sono dei fedeli eredi dell’intelligenza progressive rock, quel genere che, con eleganza, racconta i paradossi dell’umanità. Un bellissimo lavoro.