Recensione: Diseaded
Terzo full-length per gli statunitensi Bones, “Diseaded”, incanalati nella corrente, sempre dalla cospicua portata, di band che dedicano la loro esistenza musicale, almeno in parte, all’old school death metal ma non solo. Come in questo caso, ove, mischiato al nero metallo della morte, si trova il crust.
Una caratteristica tipica delle formazioni a stelle e strisce (p.e. Goregäng) che, in un modo o nell’altro, rivitalizza un genere i cui cliché, ben definiti da un’esperienza ormai ventennale, non offrono alcunché di nuovo. Il crust, il suo dinamismo, la sua freschezza, la sua semplicità e soprattutto la sua vicinanza al rock’n’roll, offre degli appigli cui aggrapparsi nel tentativo di dare vita a qualcosa di autonomo, personale nonché diverso dal solito.
Richiamando il loro moniker, i Nostri propongono un sound possente, penetrante, che, appunto, giunge sino alle ossa. La massiccia dose di death metal si fa apprezzare ovunque, grazie a un approccio alla questione piuttosto tradizionale. L’ugola aspra di Jon Necromancer evita, come ci si poteva attendere date le premesse, di transitare su linee vocali in growling, harsh, screaming e quant’altro; limitandosi a un’interpretazione semplice, vomitata, tagliente come se fosse il bisturi del chirurgo che scarnifica la materia molle sino ad arrivare al biancore dell’apparato scheletrico.
C’è da osservare, almeno a parere di chi scrive, che il rock’n’roll… deviato di cui sopra ricorda alcuni act facenti parte della leggenda metallica, primi fra tutti Venom e Motörhead. Senza ovviamente tentare di salire sino ai loro inarrivabili livelli, soprattutto come baluardi inamovibili della Storia del Metal, i Bones macinano con sicurezza uno stile senz’altro interessante, disegnato per bene dalla mano di chi compone musica e parole, certamente non proiettato al futuro anzi rivolto al passato. Il che non è detto che sia un difetto. In questo caso, al contrario, l’utilizzo di fogge musicali vintage offre al combo di Chicago lo spunto per dar luogo a un qualcosa che sia riconducibile a Jon Necromancer & soci con una certa facilità. A tal proposito, è sufficiente affrontare con concentrazione l’opener-track ‘Blood, Diarrhea, and Tears’ per essere consci che il prosieguo del viaggio sarà su un unico binario, diramatesi in un’altrettanta unica direzione.
Come purtroppo troppo spesso accade in questi casi, in cui, cioè, il gruppo riesce a suonare cavalcando con sicurezza e maturità il proprio stile per tutta la durata del disco, senza indecisioni di sorta né cali di tensione – il che non può che essere visto come un buon pregio – , quello che manca clamorosamente è la qualità del songwriting riferito alle singole canzoni. Perché è qui che si vedono il talento, l’inventiva e le idee capaci di rendere viva una song, benché di death metal si tratti.
E, in questo, i Bones sono deficitari. Anche ripetendo parecchie volte il percorso che da ‘Blood, Diarrhea, and Tears’, appunto, porta a ‘The Future Is Now’, non emerge granché, che possa possedere il quid in più per conficcarlo nella memoria. I brani sono più o meno simili fra loro, senza che ne emerga nemmeno uno in particolare. Questa mancanza di talento nella scrittura delle singole tracce, oltre a uniformarle, fa sì che, nemmeno dopo pochi ascolti, la noia assurga a regnante incontrastato. Un po’ un peccato, giacché il terzetto dell’Illinois una propria individualità era riuscito a esprimerla, anche perché la tecnica di esecuzione non è nemmeno male, lasciando essa intendere che i tre musicisti non siano affatto di primo pelo e che, anzitutto, siano in possesso di un rilevante retroterra culturale in materia di musica estrema.
Tuttavia, come si può ben comprendere, a questi punti è difficile che il full-length possa lasciare traccia, nella memoria di chi ascolta, rischiando, così, di finire nel famigerato dimenticatoio.
Daniele “dani66” D’Adamo