Recensione: Dismantling Devotion

Di Stefano Risso - 21 Agosto 2006 - 0:00
Dismantling Devotion
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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77

Ci sono voluti quattro anni agli americani Daylight Dies per dare un
seguito al debutto discografico avvenuto con No Reply. Quattro anni in cui i
nostri hanno cambiato label, passando dalla Relapse alla Candlelight, e
focalizzato al meglio le potenzialità della propria musica, racchiudendo in
Dismantling Devotion un universo plumbeo e affascinante, tutto da scoprire.

In Dismantling Devotion i Daylight Dies danno un leggero freno alle pulsioni
che animavano il disco precedente, rendendo più lineare e corposo il
songwriting, standardizzando in un certo senso la proposta, senza però privarne
di contenuti, anzi conferendo ai brani una sontuosità e una delicatezza
palpabili sin dalle prime battute. Un doom/death che, pur rifacendosi ai canoni
del genere, riesce a catturare la sensibilità dell’ascoltatore grazie a melodie
malinconiche, incalzanti, “leggere” all’udito ma tremendamente pesanti
nell’animo, in cui la grande abilità dei due chitarristi Barre Gambling e
Charlie Shackelford nel creare tappeti chitarristici di notevole spessore,
ricamandoci poi sopra litanie acustiche eleganti e lead guitars sempre precise,
gioca un ruolo fondamentale, riuscendo ad ampliare con soluzioni semplici ma
efficaci l’ampio spettro emotivo di Dismantling Devotion. Fanno il resto una
buona personalità, tale da conferire un tocco abbastanza originale al tutto, una
produzione eccellente, ma soprattutto una grande ispirazione che pervade Dismantling Devotion, che si stempera nei suoi cinquanta minuti e oltre, senza
la quale non si va da nessuna parte.

Ispirazione che viene mostrata in tutta la sua bontà gia nell’opener A Life Less Lived, dotata di un feeling toccante e di ottimi passaggi in cui il sound
robusto dei nostri si incontra alla perfezione con malinconiche chitarre
acustiche, una sorta di filo conduttore di un brano impeccabile. Potrei
soffermarmi sulla spigolosa Dead Air se non fosse seguita dalla terza A Dream Resigned, la canzone a mio avviso più completa ed emozionale dell’intero album,
una cavalcata attraverso visioni sofferte e decadenti, in cui i Daylight Dies
mettono in mostra tutto il proprio potenziale, con il nuovo arrivato Nathan
Ellis
a ruggire ferocemente dietro al microfono conferendo al proprio growl
anche
un’espressività molto buona. Una qualità generale che rimane
inalterata passando alla seguente All We Had, ancora una volta ricca di picchi
emotivi elevatissimi, senza però rinunciare alla potenza del brano, garantita da
distorsioni adeguate sia nella pulizia d’esecuzione che nella “ruvidezza” del suono.
La quinta Solitary Refinement ha il pregio di smorzare i toni, con un mood più
rilassato (ma sempre opprimente) segnata dalle clean vocals -in stile Mikael
Åkerfeldt
– di Egan O’Rourke. Un disco quindi che si mantiene costantemente a
grandi livelli, che si può permettere, con Strive to See, di proporre il brano
meno efficace della scaletta (che rimane comunque un signor pezzo) per arrivare
ad un’altra hit, Lies that Bind; traccia ben strutturata, sofferta,
dinamica, con refrain e assoli commoventi e ottimamente realizzati. Come degna
conclusione è posta infine la strumentale title-track Dismantling Devotion,
sette minuti in cui non si sente la mancanza delle parole, basta e avanzano le
toccanti melodie del brano.

Siamo appena al secondo disco, ma i Daylight Dies sembrano aver
prenotato un posto tra i grandi del genere; un posto che per poco non li vede
gia seduti fra di loro ma che è lì pronto per poter essere occupato quanto
prima, dal momento che i nostri sono gia al lavoro per il seguito di
Dismantling Devotion
. Per ora godiamoci questo album… e non è affatto
poco.

Stefano Risso

Tracklist:

  1. A Life Less Lived (mp3)
  2. Dead Air
  3. A Dream Resigned (mp3)
  4. All We Had
  5. Solitary Refinement
  6. Strive to See
  7. Lies that Bind (video)
  8. Dismantling Devotion

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