Recensione: Dissolution to Salt and Bone

Di Daniele D'Adamo - 2 Aprile 2021 - 0:00
Dissolution to Salt and Bone
Etichetta: Brucia Records
Genere: Doom 
Anno: 2021
Nazione:
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75

Sperimentazione.

Un sostantivo che, da sempre, mal si adatta agli inamovibili stilemi di base del metal, in tutte le sue forme, per via di un senso di appartenenza a un genere musicale che non muta al passare degli anni; con ciò fissando i cardini di una tradizione che ha lasciato e lascia ben poco spazio a chi, al contrario, vorrebbe spingere con forza sul pedale dell’evoluzione. Ci sono degli esempi di contaminazione, questo sì, individuabili per esempio nel jazz, nelle orchestrazioni, nell’elettronica; ma poco di più.

Elettronica. Ecco, in questo senso gli esempi in cui la base dell’heavy metal è stata infettata da tastiere, sintetizzatori, campionamenti, ecc., sono tanti. Anzi tantissimi. Sempre rispondenti, tuttavia, alle leggi della base stessa.

I The Sun And The Mirror, formazione a due elementi nata nel 2011 in quel di Everett, USA, provano invece a spingersi oltre il limite che definisce l’ortodossia metallica. “Dissolution to Salt and Bone” è il loro primo disco, ma già si ha la certezza di quali sia la loro estrazione artistica: drone doom. Un termine abbastanza nuovo il quale, nella sua semplicità, fa subito capire che a farla da padrone sono gli impulsi del mondo digitale.

L’LP consta di quattro canzoni soltanto, fra le quali spiccano le due lunghe suite ‘Currents’ e ‘Katherinella Angustri’, identificative di uno stile se non unico, quasi. Stile che si coagula attorno al suono degli strumenti classici come chitarra, basso e violoncello, pesantemente incrociato con le elettroniche concepite ed eseguite dal mastermind Reggie Townley. Il risultato è talmente strano, nel senso più vero del termine, che occorre ben poco tempo per immergersi nelle lentissime sequenze di note che formano l’ossatura del disco.

Un concetto che si può immediatamente mettere a fuoco con l’opener-track ‘Interval’, il cui incedere mortifero crea un universo a sé stante. Buio, freddo anzi glaciale, ove fluttuare ad angolo diedro spinti dal ridottissimo numero di BPM espresso da un ritmo mortifero, letargico, che crea un senso di sospensione infinita.

Universo di cui si odono suoni lontani, immaginando la propagazione del suono nel vuoto cosmico. Un rumore di fondo cupo, desolato, che trasporta come un vento di particelle i lamentosi accordi del violoncello, deputato a elaborare le dissonanze più stridenti, del resto come da copione. Vengono in mente certi esperimenti degli anni ’70/’80, come i Kraftwerk o il Vangelis meno orecchiabile. Echi di mondi lontani che si riverberano sulla tetra strada immaginaria che l’ascoltatore percorre durante l’ascolto del CD; strada costellata da una densità di note direttamente proporzionale a quello degli atomi del vuoto interstellare. Che, in ogni caso, adagio, assomma via via che passa il tempo la voce sofferente e tristissima del già menzionato Townley. Compaiono basso e chitarra – distorta, lancinante; anch’essi mossi lemme lemme da un drumming ossessivamente uguale a se stesso, allo scopo di squarciare e penetrare nelle parti più nascoste dell’essere umano.

Uno schema ben studiato, che ottiene il suo scopo: la dissoluzione totale di anima e corpo, disintegrati in neutroni, protoni ed elettroni. Spinti chissà dove, magari per generare molecole e quindi vita la cui struttura portante è costituita da atomi di carbonio.

I The Sun And The Mirror spingono la sperimentazione drone doom ai massimi livelli possibile, oltre i quali diviene inutile parlare di metal. Un tentativo ben riuscito nel complesso, che tuttavia rende “Dissolution to Salt and Bone” un’opera non per tutti.

Anzi.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

 

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