Recensione: Dividing Lines
Da quando si sono affacciati sulla scena prog metal nel 1993, i britannici Threshold hanno dimostrato di essere uno dei gruppi più affidabili in circolazione. Album dopo album, ogni proposta musicale è sempre stata intelligente, ponderata e assolutamente memorabile. Ricordiamo il superlativo doppio album Legends of the Shires del 2017 capace di farci superare l’improvvisa partenza del frontman Damien Wilson con il ritorno di Glynn Morgan dietro al microfono. A cinque anni di distanza ecco il dodicesimo album Dividing Lines e, come da copione, ritroviamo ancora una volta la classica ricetta dei Threshold: gli ingredienti sono l’ottima padronanza musicale e un songwriting brillante, complesso e allo stesso tempo accessibile (come poche band del panorama progressive sanno fare).
I nostri non scendono a compromessi ed entrano subito nel vivo con l’opener “Haunted”. La band ha incorporato abilmente tutti i marchi di fabbrica appena descritti, il che significa che la canzone invita all’headbanging e allo stesso tempo affascina con momenti melodici. Riff vigorosi e tastiere futuristiche guidano il tutto, mentre Glynn svetta con la sua voce calda e carismatica. “Hall of Echoes” è micidiale, con un’energia in levare infusa di influenze rock anni ’70 ad opera dei fitti e rassicuranti interventi di organo e un ritornello impressionante. Ottimo l’accostamento tra synth e linee di chitarra.“Let It Burn” presenta un’atmosfera più cupa, un altro ritornello da manuale e una prova vocale da fuoriclasse. Anche se sfiora i 7 minuti, il viaggio appare decisamente più breve, il che è generalmente un buon segno. “Silenced” (uno dei singoli dell’album) ha un tema portante che sa di già sentito, ma poco importa perché questa traccia è una bomba. Il synth all’intro pare un omaggio a “Pull Me Under”, il cantato è a livelli elevatissimi e la sezione ritmica è potente e serrata.
Ed eccoci all’ambiziosa “The Domino Effect” che nei suoi 11 minuti copre diverse sezioni, partendo da un intro calmo e cinematico, prima che la traccia guadagni in pesantezza dopo il primo minuto. Per quanto la voce accompagni l’ascoltatore in un viaggio musicale mozzafiato è la totalità di tutti i componenti a catturarci. Svariati passaggi strumentali spostano il centro da momenti decisamente hard and heavy a ispirate sezioni ballad. Prima che il tutto rischi di diventare troppo sdolcinato, la ciliegina sulla torta arriva con uno di quegli assoli di chitarra di Karl Groom che lasciano il segno, forse il miglior assolo dell’album.
“Complex” è uno di quei brani diretti e al punto giusto, accompagnato dalla voce seducente di Glynn Morgan. Notevoli le tastiere di Richard West che, come per tutto l’album, rimangono un elemento forte della firma dei Threshold e non si limitano al solo scopo di texturizzare il suono. “King Of Nothing” ruggisce fuori dagli speaker, con un Morgan in prima linea che offre un’altra performance sicura e potente e con la band davvero in fiamme. Il songwriting è fresco e diretto, forte e ispirato. Il ritornello è un successo senza compromessi.
“Lost Along the Way” e “Run” sono brani rilassati ed entrambi di buona fattura ma paiono leggermente fuori posto rispetto alle vette appena raggiunte. Ad ogni modo la prima presenta un ritornello efficace che incede sicuro su un’ondata di tastiere mentre la seconda trae la sua forza da una melodia ai limiti del pop, senza perdere il senso dell’album. Come sempre la voce di Morgan spicca il volo.
Chiudiamo su una nota decisamente alta con “Defence Condition”, dove la band dimostra quanto possa essere accessibile una canzone di quasi 11 minuti. Il flusso è impressionante e i momenti memorabili sono collocati nei punti chiave. Glynn Morgan adotta uno stile vocale più estremo e sorprendente, quasi death nella sezione finale. La produzione è pulita e raffinata mentre la composizione mostra una miscela vertiginosa di atmosfere oscure, melodia ed energia che rimbalza da un estremo all’altro senza perdere un colpo. Il climax raggiunge l’apice con un finale grandioso e un duetto vocale pulito/growl. Una conclusione davvero inquietante.
Tirando le somme, il flusso e l’accessibilità delle composizioni sono ciò che colpisce davvero di questo Dividing Lines. Sebbene il prog metal sia deliberatamente tecnico e la sua musicalità incredibilmente complessa, i Threshold ci mostrano il volto accessibile del genere e si accontentano di decorare gli spazi vuoti e i bordi del pacchetto con un sound impressionante. Karl Groom mette a punto riff e groove pesanti e robusti, mentre le tastiere di Richard West accentuano ed espandono la portata della musica, aggiungendo colori e atmosfere. Glynn Morgan offre ancora una volta una prova stellare, dimostrando una grande versatilità attorno alle dieci canzoni che si intrecciano e mutano da un luogo all’altro. Le performance sono eccellenti su tutta la linea e il talento è inconfondibile.
I Threshold restano una delle migliori realtà del prog e sono ancora al top della forma: Dividing Lines ne è la prova.