Recensione: Divinihility
La capacità di dare alle stampe un debut-album dotato di tutti i crismi per apparire, invece, l’ultimo lavoro di una sequenza pregressa sembra essere diventata realtà. Solida, consolidata.
Un’ulteriore prova di questa teoria arriva dal Canada, ove gli Atræ Bilis si immettono sul mercato internazionale – peraltro con una buona etichetta specializzata come Transcending Obscurity Records – con “Divinihility”, un disco che ha il nulla alle sue spalle. Del resto il gruppo è nato nel 2018, per cui è lecito attendersi una produzione discografica ridotta all’osso. Anzi, al niente.
Malgrado ciò, “Divinihility” è un disco impressionante per l’altissimo contenuto tecnologico, frutto della bravura di quattro musicisti già vicini, o quasi, al top per ciò che concerne la professionalità, la capacità di esecuzione, il rigore della registrazione e ultimo ma non ultimo, un songwriting sin da subito più che sufficiente.
Benché ci sia questo alito di gioventù, nel progetto Atræ Bilis gli stessi sono riusciti a trovare subito la propria strada, nel senso che sono stati in grado, in poco tempo, a tracciare i contorni di un loro stile. Simile a tanti altri, nota dolente del metal estremo contemporaneo, ma comunque fisso nel condurre per mano le song che compongono l’LP. Il quale dura poco più di venti minuti ma che, per la sua spaventosa densità di musica, vale come se avesse doppio minutaggio.
Stile che fa suoi due elementi principali: brutal e technical death metal con, in più, il comune denominatore della dissonanza. Della disarmonia che, è chiaro, è fortemente voluta dal combo di Vancouver il quale, lo si può percepire in ogni istante, deve avere lavorato tantissimo su ogni singola nota per dar luogo a un sound sovrumano, perfetto, massiccio e potente. Un sound tagliente, preciso, chirurgico, con che si può fiutare, anche, qualche rimando al parentado *-core.
Del resto come non sottolineare l’impressionante riffing dell’unica (sic!) chitarra in gioco, e cioè quella di David Stepanavicius, in grado di produrre decine e decine di riff, appunto, dalla forma spessa, quadrata e robusta. Realizzati con la compressione dovuta alla tecnica del palm-muting, gli accordi che formano l’ossatura principale del sound della band manifestano una notevole varietà, che si espleta in una corsa assai veloce ma ben controllata; nel senso che non si esagera mai con inutili tecnicismi cinetici e/o esagerazione di note. Riffing che è associato a una parte solistica che s’impegna, e bene, a trafiggere il suono da parte a parte con numerosi stiletti dissonanti che fanno stridere la membrana timpanica.
Dotati grande preparazione ma, per quanto più su accennato non poteva essere altrimenti, anche il bassista Brendam Campbel, bravo a riempire con un cupo rimbombo gli spazi lasciati liberi dalla sei corde; e il batterista Luka Govednik, metronomo nell’esercitare il suo compito, assai complesso, con scioltezza e naturalezza. Nella norma, invece, il cantante, Jordan Berglund, senz’altro formalmente corretto nel giostrarsi fra growling, inhale e screaming, tuttavia anonimo nello svolgere il suo compito. Ben fatto, beninteso, anche se, nondimeno, dal sapore scolastico.
Per quanto riguarda i brani, si percepisce una certa voglia, da parte di Nostri, di proporre qualcosa di personale. Riuscendoci in parte, giacché l’insieme delle tracce appalesa un vago sentore di quella pesantezza che da poi il là alla noia. Per evitare questo pericolo, qua e là viene inserito qualche elemento eterogeneo per variegare il tutto. Come nei possenti cori di ‘Ectopian’, negli inserti ambient in sottofondo a ‘Upon the Shoulders of Havayoth’ e nel violino che carezza le orecchie in ‘A Ceremony of Sectioning’.
Proprio per questo, “Divinihility” merita qualcosa di più rispetto alla media del/dei (sotto)genere/i più su citati. L’impressione, inoltre, è che gli Atræ Bilis siano in grado di sviluppare con maggiore personalità il proprio stile, aumentando pertanto la qualità artistica delle loro canzoni.
Daniele “dani66” D’Adamo