Recensione: Dodecaedro
Questo in corso è un anno particolare per il prog: non è brillante come quelli passati e il suo più fulgido esponente pare stia per pubblicare un album pop, ma è un anno che sta vedendo nelle sue pieghe più ctonie, quelle dalla musica strumentale, i suoi momenti più interessanti e forse non a caso l’anno scorso si è chiuso proprio con due gemme del genere e questo si è aperto con l’ultima opera di uno dei più grandi pilastri della musica contemporanea tutta e strumentale soprattutto, Mike Oldfield. Sicuramente non a caso, subito dopo la review di un album strumentale, l’ultimo di Maxim Micic, ne recensisco un altro senza cantato, “Dodecaedro” dei messicani Glass Mind.
Il quartetto progresivo instrumental de la Ciudad de México è composto da due chitarristi (Benjamín Berthier e Pablo Berthier), un bassista (Michel Villamor) e un batterista (Edgar Garduño). Propongono una musica cervellotica, etnica ed eclettica in un concept album dall’approccio filosofico ai cinque elementi, fuoco, acqua, aria, terra ed etere; concept approfondito dal mini documentario degli stessi Glass Mind, Construyendo el Dodecaedro.
I brani sono appunto cinque, uno per ogni elemento, intervallati da altri 4 elementi transitori, che si rivelano tutt’altro che dei riempitivi, ma sono elementi necessari nell’alchimia dell’album, anche come funzione numerica e simbolica e qui di simboli e di alchimia un po’ ce n’è.
L’opera inizia con un suggestivo intro sciamanico, per poi catapultarci subito in un’atmosfera magica fatta di riff reiterati, che sembrano quasi collidere con una vena jazz rock; invece tutti gli elementi sono dosati con sapienza, la maestria tecnica non è mai preponderante e i cambi di ritmo rendono il tutto una tempesta viva e vivida, un caleidoscopio di suoni e melodie, dove la fase ritmica sa essere vera protagonista, nonostante si muova sotto una corrente perpetua.
È impegnativo realizzare un concept album strumentale, le parole renderebbero la fruizione più facile, ma, se fatto con sapienza, si può veicolare il messaggio anche senza testi e non con minore e duratura efficacia, d’altronde la storia della musica, anche quella del prog italiano, ce lo insegna. Ed è questo il nostro caso, l’obbiettivo è pienamente centrato, certo servirà, com’è opportuno, grande impegno dell’ascoltatore ma non tanto per iniziare a godersi l’opera ma proprio per sentire cosa i Glass Mind vogliono dirci.
Se entrare in sintonia con questo lavoro è impegnativo, è anche facilissimo farselo piacere subito dopo pochi ascolti, cosa quasi paradossale perché non è album immediato, perché sembra (e forse lo è) suonato per un pubblico molto ristretto, ma semplicemente per propria natura e non per una qualche particolare intenzione elitaria. Pure le influenze ci sono ed è giusto che ci siano (Plini, Scale the Summit, Caligula’s Horse quelle da segnalare) ma ci sono soprattutto gusto, arte, impegno concettuale, tanto duro e sapiente lavoro, forza e bellezza.
“Dodecaedro” è un album consigliato a tutti i patiti di buon prog. contemporaneo, andate sul sicuro.