Recensione: Domination
È con una certa emozione che mi accingo a parlare di
Domination, quarto full-lenght dei
Morbid Angel. Un disco che chiude in bellezza il
primo ciclo di questa fondamentale band. Altars Of Madness, Blessed Are The
Sick, Covenant e questo Domination rappresentano i quattro pilastri, i quattro
punti cardinali del death metal, destinati a risplendere per sempre nella storia
di questo genere.
Domination assume un ruolo ancor più particolare
all’interno dell’intera discografia morbidangeliana, in quanto questo è l’ultimo
disco di inediti (per ora?) in cui troneggia la carismatica figura di Dave Vincent, che
abbandonerà il gruppo nel 1996 a causa di dissidi interni con l’altro importante
tassello della formazione, Trey Azagthoth, che assieme a Pete “Commando”
Sandoval racchiude un trio divenuto leggendario. A completare la formazione è stato
assoldato l’allora giovanissimo Erik Rutan nel ruolo di secondo chitarrista, che
avrà un peso importante nella realizzazione di questo album scrivendo ben cinque
degli undici brani in totale.
Domination è senza ombra di dubbio il disco più
sperimentale mai composto dai Morbid Angel. Se coi primi tre lavori i nostri
avevano composto tre capisaldi del genere, in questo full-lenght Vincent e
compagni rielaborano il proprio sound in maniera personalissima, pur mantenendo
intatti i caratteri distintivi della propria musica. Consapevoli ormai del
raggiungimento della piena maturità e di un livello tecnico impressionante, la
band conferisce al “solito” death metal una profondità emotiva e una carica
spirituale senza precedenti. Credo di non esagerare nel dire che alla fine del
disco sembra di aver vissuto una sorta di “esperienza mistica”, un viaggio
mentale attraverso una dimensione esoterica, tanto sono ammalianti ed arcane le
melodia contenute nel cd. Anche la strana copertina può essere interpretata in
questo senso: in un paesaggio surreale ed ultraterreno, sotto un cielo
burrascoso, campeggia al centro il pentacolo simbolo del gruppo. Come a
significare che nonostante le atmosfere eteree dell’album, alla base di
tutto ci sono sempre loro, i Morbid Angel, in un disco diverso dai precedenti ma
coerente al 100%.
Il principale carattere distintivo di questo platter è un
rallentamento generale delle composizioni. Ai ritmi incalzanti del passato
vengono proposte tracce dominate da convulsi e sinuosi mid-tempos, che seppur
introdotti in hit come Blessed Are the Sick o God Of Emptiness, raggiungono qui
la piena maturazione. Soluzioni che contrappongono alla velocità una spiccata
componente melodica, che vengono apprezzate ascolto dopo ascolto. Ovviamente il
concetto di melodia per i Morbid Angel è ben lontana da un’accezione
positiva o commerciale della parola…si parla di melodie opprimenti e monolitiche. Infatti
Domination è un disco che deve essere inizialmente compreso nel profondo per
essere apprezzato pienamente. Una volta entrati nella dimensione dell’album è
davvero difficile uscirne. Assoli di chitarra ancor più alieni ed evocativi,
trame chitarristiche inquietanti che non colpiscono direttamente l’ascoltatore,
ma lo avvolgono lentamente come una nube sulfurea. Scelte stilistiche ardite che
probabilmente avranno alimentato le maggiori critiche da parte dei numerosi
detrattori di questo disco. Non mancano però i classici frangenti violentissimi
a cui la band ci aveva abituato, eseguiti con la consueta naturalezza, che
risentono comunque del mood generale del disco. Strutture meno complesse del passato,
più compatte e sempre protese verso una costante ricerca di pathos e tensione
emotiva. Altri elementi caratteristici sono l’uso inedito per la band di filtri
vocali, l’utilizzo di elementi industrial, inserti tastieristici e sinfonici, mai
preponderanti ma particolarmente incisivi.
La prima parte del disco mette subito in risalto l’elevata
caratura del lavoro: Dominate è
semplicemente devastante. Poco più di due minuti e mezzo in cui i
Morbid Angel scatenano l’inferno, come se fossero
saliti in cattedra ad impartire una lezione di puro death metal. Tutta la band è
in gran forma, ma non si può non sottolineare il vocione di Vincent, che
raggiunge in questa traccia una profondità e potenza senza eguali. Con
Where The Slime Live i nostri introducono il
primo brano lento ed asfissiante del lotto. Inediti riffs sinuosi e famelici, su
cui si inserisce il growl “filtrato” del frontman (con inserti di spoken vocals)
unita ad una prova solistica magistrale di Trey confezionano una traccia
che colpisce per le novità stilistiche introdotte dal combo floridiano. In
Eyes To See…Ears To Hear si ritorna a
ritmi più sostenuti. Molto particolare il ritornello di questa canzone, che
risulta addirittura “cantabile”, dove Vincent ritorna a regimi vocali in
clean utilizzati in brani come God Of Emptiness, con ritmiche lineari ma
assolutamente non banali. La solita breve strumentale,
Melting, ci introduce alla seconda parte del disco, dove le seguenti
tre ottime songs ricalcano i territori più cari ai nostri, in cui fra blast-beat
terremotanti si stagliano break quadrati e assoli schizzati ma estremamente
coinvolgenti. L’ottava Caesar’s Palace si
discosta nettamente dalle precedenti con un’intro sognante che prelude
egregiamente all’opprimente composizione che segue. Chitarre ancora più lente e
sofferte di Where The Slime Live,
dall’andamento ipnotico, segnano solchi profondissimi leniti solo dagli eterei
assoli del duo Azagthoth/Rutan. Il secondo intermezzo
Dreaming (uno dei più riusciti, fra i
molteplici della band), ci accompagna verso la fine.
Inquisition (Burn With Me) è forse la canzone che risalta di meno dal
contesto generale, anche se la maestria di questi ragazzi riesce a risollevare
ugualmente il brano, che riprende a grandi linee alcuni passaggi di
Caesar’s Palace. Ed ecco che arriva
Hatework. Per certi versi il pezzo migliore
del disco, il più sperimentale, distaccato, struggente. Brano retto da una
costante batteria marziale (con l’aiuto di timpani e percussioni varie), un
unico monolitico ossessivo riff, massicci inserti di tastiera, malinconici
rintocchi di campane e le urla sguaiate di Vincent a scandire lo scarno
testo della canzone. Lontana anni luce dallo stile tipico dei
Morbid Angel ma che incarna perfettamente lo
spirito oscuro che pervade il disco. Catartica oserei dire.
Domination, registrato
nei mitici Morrisound Studios e prodotto grazie all’aiuto di Bill
Kennedy, non delude neanche sotto il profilo della resa sonora. La migliore
produzione, probabilmente di sempre, per i Morbid Angel
grazie alla quale le importanti innovazioni stilistiche sono state espresse alla
perfezione. Anche i testi, curati esclusivamente da Vincent, hanno subito
un leggero mutamento, trattando anche temi politici, fino ad ora inediti.
Un disco che per sua stessa natura può non essere
apprezzato da una frangia degli ascoltatori abituali e più intransigenti dei
Morbid Angel, ma che riserva emozioni e sensazioni
che nessun altra produzione della band riuscirà a trasmettere. Resta la
curiosità di come avrebbe potuto ulteriormente mutare la band senza la dipartita
del frontman, sperando che la recente reunion possa ravvivare la vena
compositiva e sperimentale del gruppo. Ho gia speso troppe parole per descrivere
Domination e se siete arrivati a leggere
fino a qui vi dico l’ultima cosa, la più importante di tutto ciò che è stato
detto: ascoltatelo, ascoltatelo più volte, lasciatevi trasportare, cercate di
capirne la profondità. Io l’ho fatto, ora tocca a voi…
“We must dominate, we will dominate!”