Recensione: Dominator
“Quando una band ha fatto qualcosa di visivamente imponente, non conta quanto buona o cattiva sia la musica, la gente ascolterà sempre quella band con gli occhi e non con le orecchie.” (Blackie Lawless)
Tre anni dopo ‘The Neon God – Part Two’ eccoci di nuovo alla corte di Blackie Lawless, personaggio capace di sintetizzare nelle due righe di sopra venti anni di music business. Music business in di cui i W.A.S.P. hanno giocato una parte non certo marginale con la loro immagine sfacciata e provocatoria.
Sempre controcorrente, spingendosi oltre le borchie e le moto quando era da temerari farlo; girandosi a guardare la propria anima quando invece brandelli di carne sanguinante e inni sessuali avrebbero spopolato e attecchito ancora più di prima, Blackie Lawless non conosce padroni. Non segue i trend e nemmeno intende farli: i W.A.S.P. sono soltanto i W.A.S.P. e basta, un gruppo mai politicamente corretto che, come un fanciullo senza troppe sovrastrutture e inibizioni, dice sempre quello che gli passa per la testa.
Entriamo allora in questo nuovo lavoro di casa W.A.S.P. in punta di piedi, cercando di dimenticare l’iconografia più nota della band angelina, perché ‘Dominator’, diciamolo subito, non è un nuovo ‘Helldorado’. Questo non vuol dire che il nuovo lavoro non conquisterà chi, come il sottoscritto, continua a preferire i WASP folli e dissennati degli albori. L’uomo la cui genialità ha segnato in maniera indelebile la storia di questa band e di tutto l’hard’n’heavy è da qualche anno alle strette con la sua coscienza e con ciò che lo circonda piuttosto che con drink gratis e donne facili. Dominator segue la ritrovata vena introspettiva e malinconica che era uscita allo scoperto con ‘The Headless Children’ e aveva raggiunto l’apice in ‘The Crimson Idol’, coppia di cui i due The Neon God sono figli legittimi e di cui anche il nuovo Dominator sente la pesante maternità, allineandosi, tra le altre cose, proprio appena sotto i valori qualitativi dei due capitoli di tre e quattro anni or sono.
Per gli amanti delle cavalcate veloci e assassine restano Long, Long Way to Go, Deal with the Devil e The Buring Man, mentre il resto del disco si sposta tra semi-ballad e pezzi hard’n’heavy costruiti ovviamente sulle melodie e i ritmi tipici di casa Lawless, continuando il discorso introspettivo della seconda parte di carriera della band e del proprio mastermind. Unica novità, dall’animo umano visto singolarmente e in modi sempre ricolmi di metafore dei concept del passato, le liriche si spostano verso una visione più globale del genere umano e coinvolgono senza troppi giri di parole la situazione geo-politica odierna. Ancora una volta una mossa che potrebbe far storcere il naso, ma non sarebbero i WASP se così non fosse.
Inutile voler dare una rotta prestabilita a Blackie Lawless e alla sua creatura, perché Nerino Senzalegge farà sempre e soltanto quello che lo aggrada e basta. E se un giorno, come nel 1999, vorrà tornare a fare il ragazzino ribelle ossessionato dalle curve femminili, state sicuri lo farà.
Tracklist:
1. Mercy
2. Long, Long Way to Go
3. Take Me Up
4. The Burning Man
5. Heaven’s Hung in Black
6. Heaven’s Blessed
7. Teacher
8. Heaven’s Hung in Black (Reprise)
9. Deal With the Devil
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini