Recensione: Domvs Mvndi

Di Filippo Tonzig - 29 Ottobre 2002 - 0:00
Domvs Mvndi
Band: Hollenthon
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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70

La maggior difficoltà che ho incontrato nel recensire questo lavoro, il debut degli austriaci Hollenthon, è stato attribuirgli un genere tra quelli a disposizione.
Ho optato per Power Metal. So che molti di voi stanno affilando le armi per farmi la pelle, ma non riesco a definirlo in altro modo. D’altronde, come riuscireste voi a definire con una unica locuzione una musica che alterna episodi Death ad altri Power, il tutto condito con inserti sinfonici, spunti Folk e caratterizzato da un cantato piuttosto vicino ad uno screaming?
Confesso che, preso dallo sconforto, ho cercato le definizioni utilizzate da giornalisti di vari siti internazionali, volevo vedere se si poteva fare di meglio… ebbene, ho letto cose come: Sympho-Death Metal, Avantgarde Metal, base Black con influenze classiche, e altre ancora… che dire… mi sono sentito in buona compagnia.
Passando dal faceto al serio, gli Hollenton nascono nel 1994 a Vienna come Vuzem, capitanati da Martin Schirenc (più noto per la leadership della Death Metal band Pungent Stench), responsabile di chitarra, basso, tastiera e voce, affiancato da Mike Groeger alla batteria e dagli sporadici interventi vocali della moglie Elena Schirenc. I nostri firmano per la Napalm Records nel 1998 e nel 1999 danno alla luce il primo lavoro, Domvs Mvndi per l’appunto. Seguirà nel 2001 With Vilest of Worms to Dwell, decisamente spostato verso sonorità più trendy e sinfoniche.
Per quanto riguarda il lavoro in esame, balza subito all’occhio il curato artwork del booklet, ricco di motivi funebri e di simbolismi legati alla morte: immagine a mio parere piuttosto poco rappresentativa della musica contenuta nel cd, la quale di cupo e funereo ha ben poco, strizzando addirittura l’occhio qua e là ai tanto amati/odiati trallallero. L’opener, Enrapture-Hinc Illae Lacrimae è una delle tracce più violente dell’album, mi fa capire come sia stato possibile che qualcuno abbia pensato (a mio giudizio con pochissimo discernimento) di parlare di base Black. I riff sono pesanti, la melodia interessante, la voce si trova in perfetto equilibrio tra un growl e uno screaming particolamente basso di tonalità. La componente sinfonica è particolarmente presente, le tastiere regalano al chorus un feeling decisamente apocalittico. Tenete comunque presente che questa non è assolutamente musica estrema, quindi quando parlo di violenza leggete tra le righe… potrei accomunare questo brano in alcuni suoi passaggi ad alcune delle cose meno ispirate degli ultimi Cradle of Filth.
Si prosegue con Homage-Magni Nominis Umbra, che si apre con sonorità decisamente arabeggianti. A parte questo non ci discostiamo poi tanto da quanto espresso nel pezzo precendente, anche se qui l’orecchiabilità è cresciuta, a discapito forse dell’originalità e incisività: il bridge cantato in clean è piuttosto noioso.
Tocca ora ad uno dei pezzi più sbalorditivi dell’intero lavoro: Vestige-Non Omnis Moriar. Ragazzi… ma questo è Power… solo a me vengono in mente i Falconer? Al primo ascolto non ci credevo… ma non era musica estrema? Una volta ripresomi dallo stupore (ci sono voluti diversi ascolti) ho constatato che si tratta di una delle tracce più ispirate, che alterna clean vocals a momenti più aggressivi. Rimane un dubbio… e tutti quegli scheletri sul booklet? Che c’entrano?
Lure-Pallida Mors, il pezzo successivo, si apre addirittura con canti gregoriani su riff stoppati e cadenzati. Detto questo, nulla di particolarmente diverso da quanto detto finora, strofe piuttosto aggressive seguite da refrain melodici. Non male, ma niente di trascendentale.
Dopo il passaggio strumentale Interlude-Ultima Ratio Regum, caratterizzato da sonorità tipicamente happy metal e arricchito dall’etnicità di flauti e cornamuse, si passa a Reprisal-Malis Avibus; qui ritroviamo un pizzico di aggressività: il ritmo è sostenuto e, senti senti, verso il terzo minuto appare un riff Black. Quanche clean vocal qua e là aggiunge un pizzico di originalità. Un brano riuscito molto meglio di altri.
E’ ora il turno di Premonition-Lex Talionis… e qui il trallallero si riaffaccia prepotente. La struttura del brano è sempre la solita, strofa in screaming, refrain melodicissimo e orecchiabile, intermezzo parlato, flauti e via discorrendo. Senza infamia né lode.
L’album si chiude con Eclipse-Vita Nova, pezzo molto cadenzato dove ascoltiamo anche le vocals di Elena Schirenc, non esaltanti a dire il vero. Il pezzo nel suo insieme è piuttosto articolato, l’ispirazione è molto più presente che in altri brani. Parti sinfoniche e corali piuttosto belle si alternano al consueto screaming di Martin, il tutto condito da un lavoro chitarristico piuttosto classico, a formare un ensemble forse un po’ forzato ma sicuramente tutt’altro che disprezzabile. A mio parere il pezzo migliore dell’album, una ottima scelta per chiudere in bellezza.

In conclusione un lavoro che raggiunge la piena sufficienza, senza peraltro spingersi molto più in là. Il suo maggior punto di forza sta forse per assurdo nella sua incoerenza, nella capacità di spiazzare l’ascoltatore, il che senza dubbio conferisce longevità. I musicisti non sono dei mostri e il songwriting non è certo dei più ispirati ma, se vi capita, un ascolto non glielo negherei. A chi consigliarlo? Beh, una volta stabilito che Domvs Mvndi non è assolutamente un album imprescindibile, lo consiglierei a chi non si è mai avvicinato alla musica estrema e si sente magari in vena di sperimentazioni. Non dovrebbe dispiacervi.
Per tutti gli altri… c’è di meglio.

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