Recensione: Don’t Count On Heroes
Danger Zone: la storia dell’hard rock italiano. Cinque full length dall’83 a oggi, considerando nel novero anche l’Ep del 1984, Victim Of Time, che contiene sei pezzi, indi è tranquillamente assimilabile a un album “vero”. Una prima parte di carriera, da parte dei bolognesi, naufragata dopo il sogno americano, che purtroppo rimase tale e un nuovo corso intrapreso dal 2011 a oggi, suggellato dal disco del ritorno sulle scene, il tuttora insuperato Line Of Fire, manifesto di musica dura coniugata in salsa tricolore dall’appeal internazionale.
A capo della baracca, da sempre, il chitarrista Roberto Priori, condottiero di lungo corso armato di sei corde al quale, nel tempo, si sono affiancati ottimi performer, a partire da Giacomo Gigantelli detto “Giga”, ex Spitfire, una fra le ugole di razza che il Belpaese può vantare e il fido Paolo Palmieri, comprovato bombardiere. Al momento, i Dangers, schierano una formazione a sei elementi. Ad affiancare i tre sopraccitati, Matteo Minghetti al basso, Danilo Faggiolino all’altra ascia e Pier Mazzini alle tastiere.
Proprio quest’ultimo strumento, all’interno delle undici tracce schierate da Don’t Count On Heroes, nuovo capitolo discografico nato all’ombra delle Torri degli Asinelli, che vede la luce per la tedesca Pride & Joy Music, come il precedente Closer To Heaven del 2016, appare in particolare spolvero.
Le grandi band, e i Danger Zone fanno parte del club, sanno suonare innovative senza rinnegare il solco della tradizione, pressoché sin dagli albori della musica dura patrimonio intoccabile della cultura hard rock e heavy metal. Non a caso, in questi tempi di magra in termini di venduto, stiamo assistendo alla corsa, da parte anche dei grandi ensemble del settore, per far uscire in tempi brevi l’edizione più scintillante dell’album, o degli album del passato che ancora possono fornire introiti interessanti. I die hard fan ma anche gli occasionali, ai concerti, vogliono gli straclassici, anche se datati. E a livello di pubblicazioni non ci si discosta più di tanto dal concetto.
Ecco quindi perché un gruppo con i controcolleoni come i Danger Zone, attraverso Don’t Count On Heroes si permette di osare un poco di più con le tastiere rispetto al recente passato ma non sbraga, per la gioia dei vecchi cuori hard rock che da sempre seguono fedelmente le loro gesta artistiche.
Il trademark made in Bo è palese sin dall’opener “Demon Or Saint”: chitarre in evidenza, la voce di Gigantelli a dettare legge, cori, pulizia sonora diffusa e melodia quanto basta. Le atmosfere si fanno più rarefatte lungo “Destiny”, “Rise Again” e “Forever Now”, episodi struggenti nei quale la classe, quella con la “C” maiuscola che costantemente punteggia i brani dei Danger Zone emerge in tutta la sua tracotanza. All’enfasi contenuta nei cinque minuti di “Eternity” il compito di far calare il sipario su quest’ultima prova in studio griffata Priori & Co. Al disco manca il pezzo bomba, quello principescamente tamarro in grado di infiammare l’audience dal vivo, ma trattasi di peccato veniale…
Don’t Count On Heroes, prodotto dallo stesso Priori in compagnia di Jody Gray, si accompagna a un libretto di sedici pagine con tutti i testi, una foto della band sul retro e le note tecniche di rito.
Danger Zone: una garanzia, in ambito hard.
Stefano “Steven Rich” Ricetti