Recensione: Don’t Look Down
Un secondo album per gli Arc of Life che sostanzialmente conferma quanto sperimentato un paio di anni fa, in occasione del buon debutto.
L’evidente impianto Yes-oriented deriva da una line up che ha mantenuto intatto uno stile peculiare ancorché derivativo. La presenza contemporanea di ben quattro elementi legati in qualche modo alla celeberrima prog band britannica – Jon Davison, Billy Sherwood, Jay Schellen e Jimi Haun – definisce, nuovamente ed in modo inevitabile, forma ed approccio alla materia.
Progressive elegante, raffinato e soprattutto “puro”. Una cifra tecnica di livello sublime si innesta sulla ricerca di melodie elaborate che rimangono in costante contatto con le atmosfere della nave “madre”. Il suggerimento che deriva prepotente dall’ascolto degli Arc of Life, è quello di un “gruppo ombra”, forse creato per dar sfogo all’estro artistico dei musicisti coinvolti nei periodi di dormienza della band d’origine.
O forse, più semplicemente, la voglia di far musica, il talento e l’attitudine in particolare di Davison e Sherwood, qualora espresso sul pentagramma, non può far altro che dar luogo a qualcosa che assomiglia sempre da vicino agli Yes.
Anche in questa seconda uscita la definizione conclusiva che matura è quella di buona musica.
Forse non eccelsa o così incisiva da essere accomunata ai classici. Tuttavia gli impasti vocali, le melodie, certi passaggi strumentali ed alcune divagazioni offrono stralci di grandissima classe e bravura.
“Don’t Look Down” – titolo piuttosto suggestivo – si propone come un flusso musicale ben amalgamato e scorrevole. Non manca qualche passaggio statico che avrebbe potuto essere “oliato” meglio, ma al netto di alcuni pattern ripetitivi, emergono brani che veicolano sensazioni spesso assai piacevoli. A tratti quasi meditative. L’elevata bontà strumentale degli Arc of Life conferisce un’aura di elitaria magniloquenza alle melodie tanto da farne risaltare alcuni contorni specifici. Pensiamo ad esempio alle ottime parti di tastiera ed ai cambi d’umore dell’iniziale “Real Time World”. Alle atmosfere soffuse della successiva title track, un pezzo dal sapore quasi onirico.
Oppure alle ambientazioni ricercate e solari di “Colors Come Alive”.
Per finire alle infinite giravolte della conclusiva “Arc of Life”, lunga suite di diciassette minuti che rappresenta una sorta di Bignami del progressive. Voci sovrapposte, fughe strumentali, cambi di tempo continui e quel costante nervosismo di fondo che è tipico di certo prog magmatico e ribollente.
Anche questa volta la proposta non è destinata a sorprendere, uscendo da un canovaccio circoscritto e dai limiti di una devozione stilistica sin troppo manifesta. “Don’t Look Behind” non valica, come detto in apertura, il confine del prog classico dei padrini cui fa riferimento diretto. Il risultato però non è affatto male: c’è parecchio da ascoltare con attenzione e gli elementi da apprezzare e scoprire con la dovuta calma non mancano. In effetti, come tutti gli album prog strutturati e di discreto livello, un cd bisognoso di un po’ di ascolti per entrare in “circolo” e rivelare appieno dettagli, colori e sfumature che ne caratterizzano l’essenza.
Come per il predecessore, anche il secondo capitolo degli Arc of Life piacerà verosimilmente a chi ama da sempre gli scenari cari agli Yes.
Tuttavia, per un eventuale terzo capitolo, qualche oncia di personalità in più sarà decisamente auspicabile. O il rischio di essere classificati come una sorta di band “fantoccio”, priva di una vita propria, inizierà a diventare ingombrante.