Recensione: Dooom
I Worship sono considerati dagli estimatori del funeral doom come una
vera a propria band di culto, con un’aurea sviluppatasi grazie a una pietra
miliare del genere, il mitico Last CD Before Doomsday (la riedizione del
loro primo demo), una serie di split album e soprattutto a causa della tragica
fine di uno dei due fondatori della band tedesca, Fucked-up Mad Max,
morto suicida dopo essersi gettato da un ponte. Questa tragedia sembrava aver
dettato la parola fine per i Worship, se non fosse stata per la passione
dell’unico membro rimasto, The Doommonger, che ha rimesso in piedi la
band, arruolando il secondo chitarrista Satachrist e Kuolema per
basso e batteria, portandola a pubblicare il primo full-length, Dooom.
I nostri hanno fatto le cose in grande, dando in pasto agli appassionati
settantatre minuti di funeral doom di buonissima fattura, curando al meglio sia
artwork che produzione. Dooom, contenente materiale registrato nel
2000 (con alcuni ritocchi apportati recentemente), è, come prevedibile, un’opera
mastodontica, impenetrabile, un lunghissimo lamento che procede per lentissimi
quattro quarti che lasciano ben poco all’immaginazione. Per i Worship
tutto è desolazione, ogni istante è buono per affossare ancor di più l’animo di
chi si appresta ad ascoltare l’album, asfissiando con tempi oltremodo dilatati,
dove i rintocchi della batteria diventano a volte quasi impercettibili, tanto
sono distanti l’uno dall’altro. Ovviamente spetta a chitarre e voce il ruolo di
protagonisti assoluti, scandendo atmosfere e melodie che spazzeranno via
qualsiasi sentimento positivo, dando vita alle immagini desolanti che ci vengono
proposte nell’artwork di Dooom.
Diciamo subito che i Worship non si spingono agli estremi limiti del
genere, riuscendo comunque a circoscrivere tutte queste sensazioni allucinanti
in brani ben caratterizzati, senza esagerare nella prolissità o nella lunghezza
delle canzoni. Un’affermazione che potrà far sorridere i più comunque, perchè
Dooom è uno di quei dischi che non fanno sconti a nessuno, uno di quei
lavori che vanno presi per quello che sono, in cui i nostri non fanno nulla per
venire incontro agli ascoltatori meno esperti in cerca di sensazioni nuove.
L’anima underground e settoriale dei Worship è ancora viva, e lo si
capisce subito dall’opener, Endzeit Elegy, quasi una sorta di lunghissima
intro di cui c’è poco da raccontare… Si subisce e basta. Con All I Ever
Knew Lie Dead si entra nel vivo del lavoro, con un copione che verrà
mantenuto per quasi tutta la lunghezza dell’album: tappeto ritmico solenne e
rarefatto, growl animale, e un lungo lamento di chitarra solista a ricamarvi
sopra melodie angoscianti, ripetitive, eteree, raggiungendo a tratti punte di
grandissima ispirazione. Nessuna novità, nessun alleggerimento del suono,
nessuna incursione tastieristica, eppure i nostri riescono comunque a mantenere
viva l’attenzione, variando registro quasi impercettibilmente, attraverso cupe
aperture atmosferiche, parti di voce sussurrata, e arpeggi, con l’unica
“concessione” di qualche lontano rintocco di campane. Effettivamente, l’unico
appunto che posso fare ai nostri è di essersi troppo adagiati su un canovaccio
sì collaudato, ma che da una band del genere ci si aspetterebbe forse un po’ più
illuminante, tenendo presente che la lunghezza media dei brani in questione è
quasi “contenuta” rispetto ad altri act della scena. Un piccolo “difetto” che
non intacca eccessivamente il valore di Dooom, anche perchè dopo
The Altar And The Choir Of The Moonkult, troviamo le prime variazioni sul
tema con Graveyard Horizon, inaugurata da un malinconico arpeggio e dalla
voce pulita di The Doommonger, in cui si alterneranno momenti nerissimi
ad altri maggiormente atmosferici. Il resto della tracklist si mantiene
fortunatamente su alti livelli, con Zorn A Rust-Red Scythe (a pelle, il
pezzo che più ha emozionato), e Devided, proponendo una bella cover dei
Solitude Aeturnus, Mirror Of Soul, e chiudendo l’opera con il
colpo di grazia chiamato I Am The End – Crucifixion Part II. Capirete che
in album del genere, è quasi superflua un’analisi approfondita delle tracce,
meglio ascoltare al musica e lasciarsi trasportare.
A ulteriore conferma della bontà del disco, vorrei sottolineare la bellezza
dell’artwork, con un digipack a cinque pagine rifinito in maniera impeccabile,
con illustrazioni e simbolismi a tema. Un album direi imperdibile per gli
appassionati, che certamente non deluderà. Dopo i lugubri fasti del passato,
siamo contentissimi di poter venire atterriti nuovamente dai Worship.
Stefano Risso
Tracklist:
1. Endzeit Elegy 08:38
2. All I Ever Knew Lie Dead 08:24
3. The Altar And The Choir Of The Moonkult 08:11
4. Graveyard Horizon 09:41
5. Zorn A Rust-Red Scythe 08:06
6. Devided 08:17
7. Mirror Of Soul (Solitude Aeturnus cover) 09:44
8. I Am The End – Crucifixion Part II 11:50