Recensione: Dopamine
La longeva band britannica Thunder, giunta all’esordio nel lontano 1989 con l’ottimo “Back Street Symphony”, presenta la quattordicesima fatica discografica in carriera, intitolata “Dopamine”.
L’album nasce dalle riflessioni sulla dipendenza da social che ci anestetizza il cervello e ci spinge a cercare rifugio in una vita fittizia, a discapito di quella reale, in cui vivere intensamente e intensamente sentire è meno importante che mostrarsi agli altri.
Complici le restrizioni anti Covid, che hanno impedito alla band di andare in tour nello scorso anno, “Dopamine” ci consegna, nella forma del doppio album, 16 brani, tutti di buona caratura.
Quella della doppia release è l’unica novità.
E’ rimasta inalterata, invece, la caratteristica dei Thunder di avere l’assoluta padronanza del rock, in tutte le sue declinazioni, e di saperlo amalgamare con altri generi (il blues, innanzitutto), riuscendo a offrire un suono sempre attuale, pur mantenendo un gusto old school.
Né alcuna flessione ha subito il talento dei suoi componenti, in primis del chitarrista Luke Morley e del cantante Danny Bowes, che detengono saldamente il timone del gruppo.
“Dopamine” è un disco di rock classico e un classico disco dei Thunder, che, c’è da sottolinearlo, non hanno mai sbagliato una uscita, e possono, pertanto, essere considerati come una solida garanzia e una delle ultime certezze rimaste (assieme alla morte e alle tasse).
“The Western Sky” segna l’apertura del lavoro, un brano hard rock che a potenti stacchi associa un bel ritornello melodico.
“One Day We’ll Be Free Again” è un pezzo rock da manuale, gradevole e incalzante, con chorus e cori superlativi, che ci porta on the road, sotto un cielo terso, con il tepore del sole sulla pelle e una fresca brezza che scompiglia dolcemente i capelli, riuscendo a trasmettere una incontenibile voglia di essere vivi.
“Even If It Takes A Lifetime”, brano dalle strofe cadenzate che si apre magistralmente, con la complicità della chitarra slide, a contaminazioni country e blues, riesce a travalicare i generi.
“Black” è una intrigante canzone hard rock, al limite dello stoner, dalle sonorità moderne, che offre qualche punto di contatto con il groove dei Muse di Uprising.
“Unraveling” è un altro brano degno di nota che su una ballad pop, in stile Robbie Williams, innesta un intenso assolo e cori più che intriganti.
“The Dead City” non è affatto male, riff serrato e chorus sbarazzino, con un classico assolo rock.
“Last Orders”, mid tempo di ispirazione folk, malinconica ed essenziale nella parte iniziale, accelera a metà, arricchendosi strada facendo di suggestioni rock e blues.
Con la classic rock “All The Way”, i Thunder, dal consumato mestiere, offrono un’altra proverbiale botta di energia, segnando, senza alcun passo falso, la chiusura del primo disco che, a complessivo commento, si merita un pieno e convinto “Azz”…
Si riprende esattamente da dove la prima metà del lavoro ci aveva condotti, con “Dancing In The Sunshine”, brano solare, armonioso e positivo che celebra la gioia di vivere una vita piena, libera da restrizioni pandemiche, e riesce a mettere di buon umore.
L’elegantissima “Big Pink Supermoon” offre un assaggio di funky, miscelato con quel blues, che, come sempre nei Thunder, cova sotto la cenere, chiudendo con una bella parte di sax.
“Across The Nation” è una traccia dal dna rock’n’roll, di grande e impatto, che ricorda nei fraseggi di chitarra lo stile di Billy Duff dei Cult
All’intima “Just A Grifter”, pezzo lento, impreziosito da linee di violino, segue la effervescente “I Don’t Believe The World” con tastiere e cori armoniosi che richiamano i Supertramp.
“Disconnected”, aperta da un viscerale riff hard rock, segna una inattesa, quanto riuscita, puntata della band nella terra della psichedelia anni settanta.
La struggente “Is Anybody Out There?” è pura melodia, con un incipit affidato alla sola voce, accompagnata dal piano, a cui si aggiungono nel prosieguo soavi fraseggi di violino. L’ulteriore dimostrazione di una classe fuori dal comune.
“No Smoke Without Fire” chiude nel migliore dei modi possibile la maratona musicale con un brano che più classic rock non si può, lasciando nell’aria la inebriante fragranza di sensuali cori femminili.
Doppio “Azz”…
L’invito, allora, non può essere che quello di spegnere i cellulari e di dimenticare, per per poco più di un’ora, Facebook, Instagram, WhatsApp, Twitter e compagnia bella, e ascoltarsi “Dopamine“, l’ultimo dei Thunder.
Grazie a dell’ottima musica e alla consapevolezza che un giorno, davvero prossimo a venire, saremo nuovamente liberi, una buona dose di dopamina, è assicurata.