Recensione: Dopethrone

Di Giuseppe Abazia - 18 Maggio 2007 - 0:00
Dopethrone
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Anno: 2000
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90

Considerati uno dei più grandi colossi del doom, definito fra i gruppi più pesanti del pianeta, nonchè fra gli eredi spirituali dei primissimi Black Sabbath, gli Electric Wizard non hanno davvero bisogno di presentazioni: la band di Jus Osborn ha saputo costruirsi, negli anni, un’immagine inattaccabile ed estremamente coerente, grazie ad un’evoluzione musicale costante ad una continuità qualitativa decisamente apprezzabile. Senza dubbio possono essere considerati uno dei massimi esponenti dello stoner doom, ma la loro proposta va oltre il semplice genere d’appartenenza: visionari, eclettici, psichedelici, gli Electric Wizard attingono a piene mani dal panorama stoner e blues degli anni ’70, ci aggiungono una spruzzata di space rock, e alzano il più possibile il volume degli amplificatori. Volendo definire con una sola parola gli Electric Wizard, essa sarebbe… rumorosi, dannatamente e fottutamente rumorosi. Non ci sono molti altri gruppi in grado di sprigionare una tale potenza sonora, di essere brutali ma mai scontati, di creare con la loro musica veri e propri trip mentali-uditivi, e soprattutto di riuscire a fare tutto ciò con un’attitudine sfacciatamente rock’n’roll, senza fronzoli, diretta e sincera.
Come se il primo omonimo album, l’EP Chrono-naut e Come My Fanatics non fossero già bastati a catapultare gli Electric Wizard nell’olimpo, ci pensa Dopethrone a portarli su un gradino ancora più alto: ancora più pesante, ancora più disturbato, ancora più visionario, ancora più acido. Dopethrone è tuttora considerato uno degli episodi migliori, se non IL migliore, della discografia degli Electric Wizard (che, dopo di questo, allo stato attuale conta ancora altri due album), e la sua fama di capolavoro è completamente meritata.

Vinum Sabbathi ci proietta nelle polverose atmosfere dell’album con un sample tratto da un film (ma gli Electric Wizard ci avevano già abituati a chicche del genere), e suona quasi come un’intro coi suoi soli 3 minuti, un’intro dalla potenza devastante, ma tutto sommato contenuta rispetto a ciò che Jus e compagni ci regalano con la successiva Funeralopolis: gli iniziali riff sabbathiani si inaspriscono sempre di più fino ad esplodere in un tripudio di violenza sonora capace di far crollare i muri, mentre la voce di Osborne – perennemente filtrata, in quest’album – si fa progressivamente più aggressiva e malata; prototipo perfetto della canzone-tipo degli Electric Wizard, Funeralopolis ci permette di apprezzare anche la potenza di un basso massiccio e roboante come pochi altri, di un drumming che spazia dal cadenzato al furioso, e di melodie di chitarra dal sapore tipicamente settantiano. Weird Tales è un lungo viaggio di 15 minuti suddiviso in tre parti (Electric Frost, Golgotha, e Altar of Melektaus) che inizialmente riprende l’orgia di pesantezza di Funeralopolis, ma che verso la fine chiede all’ascoltatore di chiudere gli occhi e di lasciarsi trasportare dalle sue visioni spaziali e senza confini. Barbarian ci riporta sulla terra senza preavviso, con un assalto sonoro tanto desiderato quanto inquietante. La successiva I, The Witchfinder invece ci chiede di dedicarle tempo, di gustarci i suoi 11 minuti senza fretta, perchè sa perfettamente come ricompensarci, poi. Un breve intermezzo a metà fra stoner e blues (The Hills Have Eyes,chiara citazione cinematografica) ci concede di riprendere un attimo fiato in vista di We Hate You, che con la sua melodia accattivante non potrà non portare anche l’ascoltatore più tranquillo (o forse stremato dalle precedenti bordate di pesantezza?) ad agitare un po’ la testa. L’album è giunto al termine (o anche no, a seconda dell’edizione del cd posseduta), e la title-track Dopethrone chiude il sipario con la sua monolitica possenza, che proprio quando sembra stia per spegnersi sta in realtà preparando il suo assalto finale. Nella ristampa del 2004 c’è ancora una canzone, Mind Transferral, un’altra gemma impazzita di pesantezza al limite del rumorismo.

Dopethrone è come un buon whisky: va gustato con cura, bisogna cogliere le molteplici sfaccettature del suo sapore, e biosgna saper apprezzare la sua forza devastante. Con Dopethrone, gli Electric Wizard hanno marchiato a fuoco la storia di un genere musicale: questo album è uno degli esempi più puri, sinceri, e mastodontici di cosa sia il doom metal.

Giuseppe Abazia

Tracklist:

1 – Vinum Sabbathi (03:06)
2 – Funeralopolis (08:43)
3 – Weird Tales (I – Electric Frost; II – Golgotha; III – Altar of Melektaus) (15:04)
4 – Barbarian (06:29)
5 – I, The Witchfinder (11:03)
6 – The Hills Have Eyes (00:47)
7 – We Hate You (05:08)
8 – Dopethrone (10:36)
9 – Mind Trasferral (14:53) [bonus track, solo sulla ristampa]

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