Recensione: The Mystic Technocracy – Season 2- The Age of Entropy

Di Roberto Gelmi - 14 Giugno 2023 - 12:00
The Mystic Technocracy – Season 2 – The Age of Entropy
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Arriva al suo terzo capitolo la space opera nata dalla mente di Douglas R. Docker, compositore italo-francese membro dei Cheap Prick (band tributo dei Cheap Trick) e collaboratore di artisti come Biloxi, Therion, Frantic Amber, Tony Mills e Shining Line.

Iniziata nel 2012 con “The Age of Ignorance”, e proseguita con “The Age Of Entropy”, la vicenda della tecnocrazia mistica che è al centro della conceptual discography parla di un futuro non così lontano da noi per certi versi. Una razza aliena dallo strano DNA vuole eliminare ogni forma di vita sulla Terra mossa da un intento pseudo-religioso, mentre uno scienziato diventa l’eroe che si batte per salvare l’umanità e inizia un viaggio nello spazio senza speranza di ritorno. Il sistema dei personaggi include nomi curiosi (Dr. Jack Heisenberg, ZZ-999, Lucy Higgs, Adam V…) e anche i nomi dei pianeti sono originali (Silix IV, Carbonia), senza contare la presenza d’immancabili viaggi nel tempo. Per saperne di più basta navigare il sito della band e addentrarsi nell’universo sci-fi della gilda di Docker: https://www.dockersguild.com/the-mystic-technocracy-season-2-the-age-of-entropy-story.

Venendo al sound dei Docker’s Guild, si può dire che rimanda a tratti a quello di band quali Genesis, Yes, Ayreon e Dream Theater: per immergersi nella musica spaziale e distopica della saga bisogna, dunque, concederle la giusta attenzione e aver bene in testa che si ha a che fare con musica progressive speziata di elementi dei più variegati.

Come per altre all star band – citiamo la Richard Andersson‘s Space Odyssey e la Genius rock opera di Daniele Liverani – anche in questo caso abbiamo, infine, un parterre di ospiti di tutto rispetto, su tutti Amanda Somerville, Anneke Van Giersbergen, Joel Hoekstra, Sascha Paeth e Nita Strauss.

Con queste premesse le aspettative sono alte, come avrà gestito la propria visionarietà il deus ex machina che ha partorito un progetto tanto ambizioso?

 

 

Il disco prende avvio con un immancabile intro narrativo e una convincente traccia strumentale “K475 W.A.M. (5:15)”, che condensa la creatività di Douglas R. Docker proponendo un sound power metal arricchito da sintetizzatori, la voce sopranile di Serena Moine e un tocco di barocco. Gli episodi che seguono sono inclusi nel capitolo intitolato “Heisenberg’s Uncertainty Principle”. Ascoltiamo in successione le note di pianoforte di “Nocturne” (2:07), l’intermezzo psichedelico e senza batteria “Rings”, da ultimo “Lucy” (5:51), mid-tempo con un buon potenziale, considerata anche la presenza di Mr Sascha Paeth (Avantasia, Aina) come special guest. L’album prosegue con “Die Today”, pezzo dotato di groove e ammiccante al punto giusto. Il drumwork di Elisa Helly Montin è potente e privo di sbavature (e non manca la doppia cassa), il refrain catchy resta memorabile grazie a un uso intelligente del sintetizzatore. Questi sono i Docker’s Guild!

Dopo i primi venti minuti, è la volta di una sorpresa. I progster esulteranno, altri invece potrebbero storcere il naso, parliamo infatti dell’inserimento in scaletta di una cover degli Yes, una delle band seminali del rock progressivo (ancora attivi, quest’anno, con Mirror to the sky). Il pezzo scelto ovviamente è “Machine Messiah”, il sontuoso opener di Drama, il disco della svolta d’inizio anni Ottanta per la band inglese. Parliamo forse del pezzo più oscuro e potente degli Yes, non a caso coverizzato anche dai Dream Theater. Douglas R. Docker riesce a riproporre la magia della composizione lunga ben dieci minuti senza snaturarne l’essenza, anche se osa inserendo voci femminili e irrobustendo le parti di batteria.

Interessante il cambio di atmosfera con la seguente “Le Chemin”. Di colpo i ritmi si placano, le note diventano lisergiche e il testo in francese dona un tocco di raffinata ricercatezza. Un reggae spaziale in cui è bello perdersi, prima di “Atlantis Town”, pezzo che resta su bpm compassati ma aggiunge un refrain ieratico e voci robotiche. Lo space rock è anche questo.

In “The Arrow” ritroviamo Sasha Paeth alla chitarra; non mancano parti di hammond e certe linee vocali zuccherose richiamano gruppi prog come Spock’s Beard e la Neal Morse Band. In definitiva, un buon pezzo energico e arioso. L’album prosegue con “Crusades”, un’altra strumentale che non annoia, anzi, e richiama i già elogiati Yes dell’era Steve Howe. Il guitarwork della talentuosa Mio Jäger è sicuramente una nota positiva.

L’ultimo quarto d’ora del full-length compone l’insieme di episodi intitolato “Into the Dahr Cages”. “The King in Purple” è un intermezzo recitato dai toni profetici, la solennità dei testi in latino è sempre vincente. “Cassilda’s Song” è una traccia ancipite: attitudine metal nella prima parte, solarità nella seconda. Il growl di Elizabeth Andrews (Frantic Amber) lascia posto infatti alla voce fatata di Anneke Van Giersbergen e il risultato è una delizia.

In “Urbs Aeterna” spicca la voce di Amanda Somerville (Avantasia). Il brano ha un andamento complesso, in quasi sette minuti propone sonorità spaziali ma anche gotiche (vedi il finale). Parliamo di uno dei pezzi più rappresentativi dell’album, in cui la sintesi apollineo-dionisiaca è riuscita. Chiudono le danze “Pornocracy (Saeculum Obscurum)” e “The Head”, con echi all’Alan Parsons Project e un’ultima cavalcata metal in doppia cassa.

Tanta carne al fuoco, insomma, in questo nuovo capitolo targato Docker’s Guild. “The Age of Entropy” è un altro buon album della gilda: l’inventiva non manca, ottima anche la cover degli Yes. La band di Douglas R. Docker riesce a coniugare passato e presente e regge il confronto con le ultime uscite di band più blasonate nel panorama progressive.

Come non bastasse l’album sancisce anche la nascita del “Black Swan Universe”, che collega The Chronomaster Project e il Vivaldi Metal Project. In pratica una saga crossover, cosa più unica che rara. Cosa chiedere di più? Auguriamo al progetto di continuare in crescendo e di acquisire maggiore visibilità, se lo merita.

 

Ps come bonus track non perdetevi “S.O.S. Spazio 1999”, cover della colonna sonora targata Oliver Onions. Non poteva esserci scelta migliore.

 

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