Recensione: Downfall
Le vie del signore sono infinite, diceva quello là. Qualcun altro diceva che anche le vie del black metal sono infinite. E indubbiamente il black, in appena 25 anni di esistenza, ha avuto modo di mostrare parecchie vie, tutt’altro che simili tra loro, se si esclude che di solito c’è qualcuno che rutta dietro un microfono e uno che si spella le mani dietro una batteria da 64 pelli e 32 piatti.
Nelle tenebre di quanto testé accennato dunque, viene difficile comprendere (soprattutto a chi scrive) per quale motivo il 95% dei gruppi black metal segua sempre le solite tre o quattro vie. Prendiamo ad esempio Downfall, terzo album in 15 anni dei Subliritum, gruppo norvegese con base a Trondheim. Un gruppo che si presenta ambizioso, sostenuto peraltro da un session drummer (Vyl) di navigata carriera coi Keep of Kalessin. Dicono di fare black epico e melodico con inserti death technico e brutale. Dicono.
La realtà dei fatti è piuttosto diversa, ahi loro e soprattutto ahi noi.
Per certi riff, certi giri di chitarra e per l’utilizzo, ricordano vagamente i Dimmu Borgir di Puritanical Euphoric Mysanthropia (soprattutto questo album ricorda Blessings upon the Throne of Tyranny). Il problema è che detto disco ormai ha 13 anni, e in parecchi hanno già fallito l’impresa di scopiazzarlo. Anche perché non è facile scopiazzare un disco tamarro e strafico allo stesso tempo, a meno di non avere l’orchestra di Göteborg alle spalle, Mustis alle tastiere e Vortex alle clean. Gli stessi Borgir hanno fallito nell’intento, una volta licenziati i due membri testé nominati.
I Subliritum invece non hanno mai avuto né l’uno né l’altro, e senza offesa, non hanno i mezzi per pagare un’orchestra. Va detto però che se ci fossero state più tastiere (l’orchestra non è in ogni caso un requisito fondamentale per del buon black melodico) e qualche clean, molto probabilmente il giudizio complessivo ne avrebbe guadagnato. Ma per il resto non toglie che questo disco sia piatto e arido come la Trolltunga.
Mettere qualche riff propriamente death e qualche giretto iperveloce stile grind può aiutare ad irrobustire il sound o a renderlo più vario, perché bisogna dire che i norvegesi son abbastanza bravi a spezzare il ritmo, sebbene abbiano paura di farlo troppo spesso. Però non basta a salvare un album che è costruito in modo impeccabile proprio perché non rischia niente di nuovo. Il che può andare relativamente bene quando si cavalca l’onda di un genere appena nato, ben altra cosa è farlo 15 dopo la comparsa di tale simil-sottogenere. Così come non può bastare un bravo chitarrista (Dag Müller) a tenere in piedi la baracca da solo.
Il black paradossalmente ha fatto la fine del punk. Era nato come un genere di rottura e di protesta, ma col tempo, e l’attitudine reazionaria dei true norwegian fan, ha trovato i suoi canoni e i suoi stilemi, divenendo quanto di più statico e piatto esista in natura. Ecco, i Subliritum sono una splendida conferma di questo fenomeno. Ed è anche l’unica cosa splendida che troverete in questo Downfall.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
Topic Nordheim
Pagina facebook dei Subliritum