Recensione: Downfall of Mankind
Nervosa.
Trio di donne dedite al metal estremo.
Primo passo, buttare dalla finestra i pregiudizi in merito. Il motivo è semplice: con l’ultimogenito “Downfall of Mankind” le tre ragazze brasiliane entrano di fatto e di diritto nel gotha del metallo oltranzista, piazzandosi in prima linea fra i migliori act contemporanei nelle materie universitarie thrash e death metal.
L’evoluzione compiuta da “Agony” (2016) a “Downfall of Mankind” è semplicemente mostruosa. Clamorosa. Quasi difficile da credersi. Che le Nervosa avessero nel DNA un’innata predisposizione per camminare nelle lande del metal cattivo già lo si intuiva abbondantemente, soprattutto alla luce dell’intensa attività live sparsa per tutto il Mondo negli ultimi anni. Con la quale, e con la derivante esperienza, ma non solo, è stato possibile giungere al livello qualitativo necessario per rifinire il suono pazzesco che si sprigiona dall’album.
Album che non presenta un attimo di tregua, un istante in cui riprendere fiato. Niente riempitivi, niente mid-tempo, niente rallentamenti: Fernanda Leira e le sue due compagne riescono a generare un impatto frontale impressionante. Impossibile, per una formazione a tre elementi, a meno che questa non possieda un gran talento e un’incrollabile attitudine estrema.
Ecco, quale genere? Verrebbe da riferirsi al thrash, come al solito quando si tratta del combo di San Paolo. E invece no. L’innesto del bombardiere umano Luana Dametto alla batteria ha fornito alla musica una nuova forza motrice, spaventosa, in grado di demolire la barriera dei blast-beast con continuità e precisione cronometrica (‘Bleeding’). Quasi con noncuranza, come se la vera natura artistica delle Nervosa non sia il thrash metal bensì il death. Peraltro, anche la Leira, oltre a sferzare l’etere con le sco(r)date del suo potentissimo basso, dà adito – aiutata per ciò dall’ugola della chitarrista fondatrice (2010) Prika Amaral – a interpretazioni più radicate nel death con un’alternanza di scream ma soprattutto di growling che, inesorabilmente, assieme a un guitarwork monumentale sia nella massiccia parte ritmica, sia nel pungente stiletto dei soli, indirizzano a parere di chi scrive, definitivamente, la formazione sudamericana negli abominevoli territori del death metal.
È una sensazione a pelle ma chiara, il thrash è scivolato via, anche se non tutto, ancora, dalle mani delle Nervosa, per lasciare spazio al metallo della morte.
Non solo questo, “Downfall of Mankind”, è avviluppato da un tetro mood oscuro, che – ma solo per qualche attimo – ricorda i Sepultura degli inizi (‘Never Forget, Never Repeat’). Un umore tetro, a volte gelido, cupo; perfettamente allineato ai temi delle song e del nuovo stile nascente. Song che rispondono impeccabilmente a un marchio di fabbrica, Nervosa, ormai unico in tutto il pianeta, riconoscibile immediatamente. Song anche varie e articolate, segno che pure il songwriting è cresciuto in maniera veloce, sì da far inanellare alle Nostre canzoni una migliore dell’altra; talmente ricche di personalità e diversificate nel ritmo – pure lacerate dagli abissali assoli della Amaral – , da formare un insieme piacevole da ascoltare e riascoltare. Ricordando, per questo, fatte magari le debite e personali proporzioni, la leggendaria longevità di “Reign in Blood” (1986) degli Slayer.
Agghiaccianti mazzate sulla schiena che rispondono al nome, per esempio, di ‘Kill the Silence’, troncano il respiro in virtù di un’energia, di una foga, di un’aggressività che, insieme, prendono letteralmente a calci il cervello, sconquassandolo nella scatola cranica. Brani davvero incredibili per la media esistente fra gli ensemble dediti al thrash ma soprattutto al death metal. ‘No Mercy’, altro magnifico assalto, disintegra a tappeto tutto ciò che incontra sulla sua strada. O anchte la travolgente ‘Fear, Violence and Massacre’, retta da un main riff pazzesco, in grado di sollevare anche un palazzo, smembrata da furiose ondate di blast-beats che non danno tregua.
Significativi anche i passaggi al fulmicotone che segnano, esplodendo, i segmenti di ciascun pezzo; segnale indicativo, come gli altri più su elencati, di un pieno raggiungimento della maturità esecutiva. Come peraltro evidenziato da una canzone dal profondo significato sociale, ‘Cultura do Estupro’: sublime massacro di corpi, di membra, schianto di ossa e organi interni.
Come conclusione viene proposta la bonus-track ‘Selfish Battle’, apparentemente di poco conto invece importante, poiché è la prova di cosa fossero le Nervosa ieri e di cosa siano le Nervosa oggi.
Evoluzione tecnica, evoluzione nella composizione, evoluzione nello stile. Cos’altro volere di più, in questo 2018?
Nervosa!
Daniele “dani66” D’Adamo