Recensione: Download Hatred
Che il Brasile, in ambito oltranzista, non sia stato e non sia solo Sepultura-dipendente si sa da sempre, talmente è vasto il movimento che abbraccia, dalla metà degli anni 80 a oggi, sia il thrash metal, sia il death metal.
Fulgido esempio di ciò sono i Claustrofobia, formidabile combo di Leme, i quali calcano le scene da ormai ventidue anni. Ventidue anni durante i quali sono nati sei full-length di cui l’ultimo, in ordine di tempo, s’intitola “Download Hatred”.
I Nostri, al pari di gente tipo NervoChaos, non sono inquadrabili perfettamente in uno o l’altro dei generi anzidetti. Anche questa, è una mania tipicamente sudamericana. Mischiare in parti uguali, pesate con il bilancino da farmacista per essere quanto più precisi possibile, thrash e death pare essere, difatti, un’operazione dagli esiti fausti solo nel continente australe. Così, seppure il termine thrash/death o death/thrash sia assai utilizzato da tutti, addetti ai lavori e non, alla fine bisogna convenire che le due fogge musicali sono assolutamente distaccate l’una dall’altra. Sebbene, com’è ovvio che sia, esista una vicendevole influenza, date le tante similitudini storiche, tecniche e artistiche che sono via via sopravvenute in occasione della loro formazione primigenia – anni dal 1984 ÷ 1992 ca. Oltre a questo, anche il tipo di formazione mischia le carte in tavola, poiché mutua proprio quella della band di Belo Horizonte nella quale, cioè, il vocalist si sobbarca anche l’onere della chitarra. Una tradizione decennale, inossidabile, tipica del thrash proveniente dal Brasile.
E allora?
Allora, la risposta è semplice: i Claustrofobia sono death. La mutua attrazione gravitazionale con il thrash c’è, ed è intensa. Tuttavia, “Download Hatred” è un album che suona death. Si percepisce più con l’istinto che con la ragione. Marcus D’Angelo si avvicina parecchio al growling ma nemmeno esageratamente, come – anche – la velocità del ritmo, la quale sfiora quella dei blast-beats senza mai raggiungerla, in occasioni delle sfuriate più intense. D’altro canto, sono presenti pure i cori caratterizzanti, per certi versi, il thrash. Però, preso nel suo complesso, nel suo mood, nella sua profondità emotiva, “Download Hatred” è quello: death!
E di quello buono: lo stesso D’Angelo e l’altro axe-man, Douglas Prado, sono due violentissimi scardinatori della scatola cranica con la sola forza dirompente dei loro riff, alcuni dei quali veri e propri capolavori, come quello portante di ‘My Own Victory’, probabilmente uno dei migliori mai scritti nella Storia. L’affermazione potrebbe apparire esagerata, ma ascoltando la song si scopre che non si può resistere al geniale dinamismo del riff stesso, e al conseguente cappottamento a 180° dell’asse corporeo. Assolutamente vertiginosa la qualità della quadratura ritmica del/i brano/i, perfetto/i nella chiusura di tutti i lati degli accordi, sparati alla velocità del suono.
Spaventoso l’attacco di ‘Blasphemous Corruption’, che forse – lontanamente – odora di Morbid Angel (death!). Però, occorre sottolineare che i Claustrofobia sono stati più che bravi a creare un sound tutto loro, invece che derivare da destra e manca. Un marchio di fabbrica chiaro, duro, deciso, compiutamente delineato. Sia quando si hardcoreggia (‘Generalized World Infection’), sia quando la velocità cala sino ad allinearsi a quella del doom (‘The Greatest Temptation’), con conseguente sviluppo di atmosfere plumbee, tetre, oscure.
Claustrofobiche, appunto.
Però, inutile insistere, il meglio di sé il quartetto dell’area di São Paulo lo dà quando alza il numero di BPM. Come mostra con irrisoria facilità ‘Curva’. Nella quale, non a caso, oltre che a essere cantata in lingua madre, c’è la presenza di Andreas Kisser, quasi a ribadire la paternità dei Sepultura su tutto quello che è Brasile-thrash-death.
Valore complessivo elevato, quello dei Claustrofobia e del loro “Download Hatred”, senza dubbio.
Ma, quel riff là… sublime…
Daniele D’Adamo