Recensione: Dreamcatcher

Di Daniele D'Adamo - 24 Febbraio 2019 - 10:11
Dreamcatcher
Band: Aenimus
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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78

Nati nel 2013 in quel di San Francisco, gli Aenimus danno subito alle stampe, nello stesso anno, il loro debut-album, “Transcend Reality”. A un lustro di distanza, vergano il contratto discografico con la Nuclear Blast Records e nasce così il secondogenito, “Dreamcatcher”; un concept-album che trae ispirazione dalle storie e dai film dell’orrore come “It”, “The Shining”, “Hannibal Lecter” e “The Dead Zone”.

Il cacciatore dei sogni… come l’arte degli Aenimus, concepita per scavare a fondo nella psiche degli esseri umani per trarne linfa vitale dalle loro paure ancestrali, dalle loro arcaiche debolezze, dalle loro eterne paure.

Come? Con un full-length pieno zeppo di musica che, ai primi passaggi, disorienta l’ascoltatore con una vastità senza limiti, senza spazio né tempo.

Il mezzo? Il progressive death metal. Sottogenere del death che, ormai, dato atto che a praticare questa foggia ibrida sono tantissime le formazioni accoccolate sul globo terracqueo, può assumere la dignità non più di sottogenere, appunto, quanto di genere vero e proprio. Le cui caratteristiche sono perfettamente esposte dagli Aenimus nel loro lungo viaggio dall’opener-track ‘Before the Eons’ sino alla title-track, che chiude il lavoro.

Già da subito, con la ridetta ‘Before the Eons’, si ha a che fare con un sound possente, corposo, improntato su una componente tecnica di assoluto rilievo. Abilità che, però, non soffoca la creatività, per cui le tracce – questa come le altre – risultano perfettamente intelligibile in tutti i loro aspetti. Non manca anche un bel po’ di melodia (‘Eternal’, ‘My Becoming’), il che addolcisce praticamente dappertutto la furia di un’aggressività comunque marcata, a volte davvero violenta e brutale. Resa tangibile grazie alle linee vocali di Alex Green, che azzecca una sorta di incrocio fra growling e hars vocals del tutto coerente con le complesse architetture dei brani. Anche quando si passa, ogni tanto, alle clean vocals.

Si forma, cioè, un amalgama praticamente senza difetti teso a rifinire, nell’insieme, uno stile, sì, non originalissimo, ma in grado di essere riconoscibile con una certa facilità. Comunque indicativo di un talento compositivo assai sostanzioso e, soprattutto, di gran classe; capace di portare a un totale controllo e lucidità della fase esecutiva.

Stile che emerge, come più su accennato, solo dopo un processo di digestione che può durare anche un consistente numero di ascolti. Questo poiché, pur essendo un disco che racconta storie diverse, “Dreamcatcher” riesce nel difficile compito di possedere song decisamente diverse le une dalle altre, tuttavia legate assieme dal filo conduttore fabbricato dal quintetto di San Francisco. Ogni brano fa storia a sé ma obbedisce a un’unica testa pensante, insomma.

Sono inoltre presenti numerosi inserti ambient nonché orchestrazioni che aiutano l’immersione in un mondo immaginario (‘The Ritual’), nel quale si svolgono i fatti narrati nelle orrorifiche storie citate all’inizio. Anche in questo caso, segmenti tesi a ridurre un po’ l’impatto frontale derivante da un muro di suono costruito da un immane lavoro svolto sia a livello ritmico, sia a livello solista delle chitarre di Sean Swafford e Jordan Rush; molto efficaci anche quando occorre disegnare armonici orpelli di pregevole fattura (‘The Dark Triad’). Non stancano neppure i complicati arzigogoli del drumming di Cody Pulliam, efficace e pulito anche quando viene superata la barriera dei blast-beats; ineccepibilmente supportato dalla vivacità del basso di Seth Stone che, molto saggiamente, evita di di disturbare la solida atmosfera creata dai compagni di squadra (‘Between Iron and Silver’) con inutili sfoghi di tecnica slegata dal contesto.

La Nuclear Blast Records appoggia sempre con grande determinazione le formazioni presenti nel proprio roster, a volte esagerando nella esternazioni di commenti e giudizi roboanti. Stavolta ciò non accade, poiché gli Aenimus sono davvero un grande ensemble. Compatto, coeso alla propria filosofia musicale. Caleidoscopico. Ricco di talento e classe, come già rilevato, che, e non poteva essere altrimenti, si ritrovano in grande quantità in “Dreamcatcher”; opera adatta a tutti, non solo agli appassionati del metal estremo per via della sua innata tendenza accattivante. Anche se, osservandolo asetticamente, ciò non parrebbe essere possibile dato il suo difficile e apparentemente imperscrutabile procedimento di costruzione.

Molto, molto bravi.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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