Recensione: Dreaming Neon Black
Cominciamo col dire che Dreaming è uno tra i concept album più riusciti e credibili degli ultimi anni, un concept in cui regnano sentimenti di rabbia e frustrazione e i cui toni sono cupi e disperati. Le tredici canzoni di questo lavoro rappresentano dal punto di vista personale e in maniera impeccabile una situazione a dir poco insostenibile: un uomo che si trova a dover affrontare il suicidio della propria amata, con tutti gli interrogativi irrisolti che gli si precipitano contro.
Una breve intro inquietante e claustrofobia precede la prima vera song Beyond Within, un inno all’impossibilità del ritorno dalla morte, un invito, a tratti sarcastico e irridente alla rassegnazione (“welcome to the end my friend”…”The world is black, no turning…”.
Con le successive The death of passion e I am the dog, a farla da padrone è prima il senso di vuoto e di impotenza di chi si trova di fronte alla morte di una persona cara, e poi la rabbia, la voglia di piangere, di urlare, di spaccare tutto , di farla finita (“I sit here waiting for the world to end but it never ends”).
La title track si rivela essere una delle canzoni più convincenti di un’insieme di brani che comunque non delude affatto, anzi! Warrel Dane si fa portavoce del dolore, con un testo veramente struggente ed un’interpretazione appassionante, alla quale si aggiunge suadente l’accompagnamento di una vocalist (dovrebbe interpretare la ragazza morta che sembra farsi sentire dalla nuova dimensione raggiunta).
La traccia seguente, Deconstruction è il crollo di tutti gli ideali, è un urlo di rabbia che si erge imperioso a maledire tutto e tutti, dio compreso.
Ma i Nevermore hanno ancora molto da dire, e se con The fault of the flesh analizzano la debolezza dell’uomo, la sua fragilità (“I am but flesh and flesh is weak”), attraverso le tinte sempre più plumbee di una stupenda The lotus eaters, i nostri si interrogano ancora sulla vita, sulla morte, sul perché del dolore, ma non c’è risposta, come del resto non c’è rimedio alla sofferenza umana.
Inarrestabile, Dreaming Neon Black continua con Poison Godmachine e All play dead, altri due piccoli capolavori di abilità compositiva e riflessioni personali, con testi che non possono lasciare mai indifferenti.
A precedere le due canzoni che chiudono l’album, troviamo l’ottima Cenotaph, altro grido di dolore per la ragazza suicida il cui corpo non è più stato trovato (da cui l’utilizzo appunto di un cenotafio).
No more will, penultima traccia di Dreaming, comincia con un arpeggio di rara bellezza che esplode poi in una canzone ancora una volta potente e drammatica.
Il gran finale è lasciato a Forever, pezzo lento e intimista innanzi al quale è difficile non commuoversi (“I know you’re dreaming, I know you’re at peace”…)
Cosa dire di più? Che è un album di altissimo spessore, ottimamente suonato da musicisti all’altezza: Van Williams dietro al drumkit è garanzia di precisione e genialità, mentre Loomis produce assoli struggenti a ripetizione. Per quanto riguarda l’apporto vocale di Dane credo di aver già dato modo di far capire quanto apprezzi la sua sincera e sofferta interpretazione dei brani.
Un’ultima cosa: non sognatevi di etichettare la proposta dei Nevermore, buttereste via solo tempo prezioso…