Recensione: Dreams
Navigando nell’immenso oceano discografico è la norma incappare in migliaia di prodotti sconosciuti. Certamente tutta questa enorme proposta sul mercato non aiuta di certo a spendere la sufficiente attenzione che molti di questi prodotti in realtà meriterebbe. Infatti, dietro quelle impolverate copertine, incise nei solchi dei vinili o codificate nella sottile patina plastificata dei cd, si nascondono storie, eventi, emozioni, vite… E soprattutto, sogni. E talvolta, alcuni di questi vengono riscoperti.
La nostra storia comincia nel settembre del 1983 nella ridente cittadina di Palos Hill, a poche miglia da Chicago: 5 adolescenti, vicini di casa e compagni di scuola, si ritrovano un giorno a suonare in un garage, scoprendo così non solo di condividere una forte amicizia, ma addirittura di esser in grado di creare qualcosa di veramente magico. Todd, il più giovane della cricca, vanta l’onore di esser figlio del pluripremiato Gary Loizzo, cantante degli American Breeds e produttore musicale di celebri band quali REO Speedwagon, Styx, Slash e Survivors.
Con una simile eredità alle spalle, il giovane Todd non può che seguire le orme del padre, fiducioso in un futuro radioso: così nascono i Dreams. Quattro sono i pezzi che la giovane band scrive per il primo demo e di questo migliaia di copie vengono distribuite su musicassetta in tutta l’America. La band comincia così a crearsi un certo seguito: suonano a giro per vari festival, college e università, arrivando perfino ad esibirsi a Los Angeles nei locali della famosa Sunset Strips, facendo da band di apertura per artisti come Styx, Joan Jett e Tes Nugent.
Ora, mentre tutto ciò avviene, i nostri vivono contemporaneamente la loro vita da adolescenti: si divertono tra amici, s’innamorano e si lasciano con le rispettive ragazze, incontrano nuove persone… insomma, Vivono -con la V maiuscola- quel periodo elettrizzante che la maggior parte di noi ricorda per il resto della vita con un pizzico di nostalgia. Ed è proprio su questo tema che vertono i testi e le note del loro debut album, una raccolta di 12 pezzi scritta in gran parte a cavallo tra il 1988 ÷ 1991 ca.
Sebbene la band sia devota ad artisti Hard Rock come Van Halen, Rush, Killers e Bon Jovi, il sound risultante è decisamente più accostabile al tardo AOR tipico di band in voga alla fine degli 80’s come Signals, Strangeways, Boulevards e Night Rangers. A dimostrazione di ciò apre le danze “Drive you Crazy”, traccia in cui sfoggiano le powerose chitarre di Paul Smith, entrando in gran spolvero e facendosi protagoniste dello show assieme alla voce di Linas Kastys. Sul piano strumentale però, a rivestire un ruolo chiave sono senza alcun dubbio le tastiere di Todd Loizzo, tanto che con l’apertura dei sintetizzatori in “The Fear of Being Alone” si capisce sin da subito che nel disco saranno queste a dirigere lo sviluppo melodico, come eminenze grigie che, dietro al sipario, tirano gli invisibili fili del potere.
Sapendo a questo punto della possibilità che il quintetto ha avuto di disporre dello studio di produzione musicale della famiglia Loizzo, desta poco stupore scoprire come il suono risulti così brillante e pulito, curato sotto ogni aspetto. Va altresì detto che il songwriting di questo platter forse non è dei più originali; le tracce seguono tutto sommato il classico sviluppo riscontrabile in ogni canzone pop, composta da alternazioni tra strofe, ritornelli e assoli.
Ciò non di meno, si fa ascoltare assai bene, tanto da risultare non solo convincente, ma addirittura un prodotto di alta qualità! Poichè, nonostante si possa ancora assaporare il gusto un po’ acerbo nei restanti pezzi derivati dal demo come “(Does It Feel) Like You Want It To” e “Run”, è nelle successive e più recenti tracce “Feels Like I’m In Love” o “Coming Down On Me” che si può percepire la maturazione in corso delle capacità del songwriting della band… e ciò è più che legittimo se si considera che questa raccolta narra gli anni di crescita dei componenti del gruppo. Meritano poi una particolare attenzione il brano dalle tinte country “Always there for you” -le cui sonorità ricordano a tratti “High enough” dei Damn Yankees– e soprattutto la filmica “Lovin’ You Aint Enough”, pezzo da novanta degno delle più smielate ballate strappamutande di Bon Jovi.
Se questo debut album fosse uscito a metà degli anni ’80, il quintetto non avrebbe faticato a raccogliere il successo che si meritava. Ma -ahimè- il disco non esce; a nulla servono le svariate audizioni e distribuzioni a giro per le case discografiche di Los Angeles, poichè nel panorama musicale degli anni ’90 tira un’altra aria: il Grunge prende il sopravvento nei gusti del pubblico e generi come l’Hair Metal o l’AOR si avviano verso il loro tramonto. E proprio come narrato in “Summer of ’69” di Bryan Adams, i cinque musicisti, oramai non più così giovani e alle prese con le vicende familiari, prendono ognuno la propria strada, sapendo comunque che, con la morte del loro sogno, la loro amicizia sarebbe continuata a vivere. Ci sarebbero voluti poco più di 20 anni prima che la label AOR Heaven riscoprisse i vecchi demo distribuiti dalla band e decidesse di pubblicare quello che, a parere del sottoscritto, potrebbe rivelarsi negli anni a venire uno di quei prodotti inizialmente snobbati sommariamente e successivamente ricercati avidamente.
E se da un punto di vista compositivo questo trascurato disco non pulluli di virtuosismi ed innovazioni di alcun genere, la forza di Dreams sta proprio nel riuscire a rappresentare appieno lo spirito dell’AOR: giovane, immortale, incorruttibile e -perchè no?- ingenuamente spensierato come quei cinque ragazzini che, suonando nel garage di casa, seguivano il loro sogno americano.
Lorenzo “Dottorfaust87” Gestri