Recensione: Dregen
Parlare di un personaggio come Dregen – al secolo Andreas Tyrone Svensson – è un po’ come prendere in mano l’enciclopedia dell’hard rock scandinavo per darne un’approfondita lettura.
Personaggio singolare fuori e sopra il palco, l’artista originario della cittadina di Nässjö puo, infatti, definirsi a pieno titolo come uno degli esponenti di massimo rilievo della scena hard nordica, in forza di militanze di prestigio in alcune delle band più significative e rilevanti per il genere.
Membro fondatore dei seminali Backyard Babies e degli altrettanto influenti Hellacopters, collaboratore prediletto di pezzi da novanta quali Michael Monroe, Tyla, Nicke Andersson e Ginger, protagonista di numerose incisioni e side project: al buon Dregen non difetta, insomma, alcunché, per poter essere annoverato tra gli eroi assoluti dell’hard n’roll di radice nord europea nelle sue espressioni migliori.
Forse, l’unica cosa ancora necessaria alla sublimazione di un ego iperattivo e vulcanico, era in realtà un album solista da presentare come assolutamente “proprio” ed esclusivo, mediante il quale imprimere su disco in modo completo e permanente la personalità artistica di un musicista a tutto tondo.
Una mancanza colmata recentemente con l’uscita del primo capitolo in solitaria dal titolo omonimo che, come affermato con luminosa prontezza da più di un critico, si profila – dopo attento ascolto – come serio competitore per il titolo di migliore uscita “glam” di questo 2013 ai titoli di coda.
Un successo chiaro e lampante che poggia su alcune caratteristiche tanto semplici quanto fondamentali: grandissima freschezza di songwriting, varietà tra i brani, salutare energia e cori solidi da ricordare con facilità.
Passando in rassegna un notevole spettro di stili ed influenze, l’album riesce, infatti, a sorprendere proprio nell’essenza cangiante di cui è intriso. Dal blues torrido, al rock oltraggioso; dalle linee melodiche lascive, al funk strisciante; dalle svisate psichedeliche alle ritmiche quasi rockabilly, “Dregen” è una costante novità per le orecchie che si trovano a riconoscere riferimenti tra i più disparati. Dai Kiss ai Motoherad, dagli Hanoi Rocks agli ZZ Top, dai Murderdolls ad Alice Cooper: una gamma di eccellenze che mette tutti d’accordo e confeziona dieci tracce che spiccano come una collezione di proiettili argentati.
I pezzi, aspetto al limite del miracoloso, non hanno in alcun frangente cali di tono ed anzi, spesso riescono ad andare “oltre”, mettendo in pista qualcosa di assolutamente sopra le righe.
L’ascolto di una canzone come “6 till 10” ad esempio, può comportare effetti devastanti per la psiche: averne la linea melodica in testa per giorni senza possibilità di liberarsene è un piacere dal sapore di condanna. Ma che piacere!
Da rimarcare inoltre, come il sodalizio con l’altro eminente mastermind della scena nordica, Nicke Andersson (Entombed, Hellacopters, Imperial State Electric) perduri ancora, intatto come una solida amicizia insensibile al tempo che scorre: suo il contributo in tre delle dieci composizioni.
Detto di una produzione asciutta ma davvero performante, ottima nel fornire grande risalto al ruggente suono della chitarra di Dregen, e di una prova vocale a dir poco efficace, non risulta troppo proficuo o vantaggioso dilungarsi in eccessivi particolari inerenti i vari episodi di cui è composta questa prima uscita in solitaria dell’alcolico musicista svedese.
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