Recensione: Drengskapr
Panphage è una one-man band attiva dal lontano 2005. Protagonista del progetto è l’enigmatico Fjällbrandt, il cui progetto ha sfornato una lunga serie di demo, prima di arrivare ad un full-lenght nel 2015, ed oggi ad un secondo capitolo discografico intitolato “Drengskapr”.
L’album pare essere una contemplazione di qualcosa di maestoso, di immenso e non a caso troviamo un mare in copertina. Acque gelide, ma allo stesso tempo serene, quiete, su cui la luce lunare risplende, regalando un’epica essenza. Tutto questo viene reso dal black metal dell’artista, un sound minimale che, come risacca di mare, ci culla inizialmente, per poi farci cadere nel nero abisso che custodisce.
L’immagine poetica di queste acque riscaldate dagli astri ci illude in qualche modo, poiché al di là dell’ammirazione, c’è un’oscurità che soggiace in tale splendente superficie. Il suono delle chitarre è decisamente zanzaroso, livore che poi si dissolve in alcuni crescendo vocali e strumentali di grande impatto ed emotività.
Tutto resta in un contesto decisamente distorto e sofferto, per nulla accostabile al folk ad esempio o al viking, ma l’epica la ravvisiamo tranquillamente, godendone per intensità. I brani sono pressoché sullo stesso piano, non differenziandosi più d tanto l’uno dall’altro, senza sconvolgere il verbo del filone.
Ci sono similitudini con Arckanum e Taake, non trovando spunti personali o elementi che ce li distinguano dal resto del black. Restano quindi valide considerazioni che spesso scaturiscono da noi stessi all’ascolto di lavori di questo tipo: se non amavate queste proposte continuerete a farlo. Nulla viene fatto infatti per convincervi del contrario, e se siete alla ricerca di novità passate la mano tranquillamente. In caso contrario, affidatevi a Panphage, la cui vena compositiva, seppur non originalissima, riesce ad emozionare.
Stefano “Thiess” Santamaria