Recensione: Drif
Quando incominciai con gli Heilung erano appena passati i momenti peggiori della pandemia. Insomma, c’era bisogno di tornare in salute… Bizzarra coincidenza visto che Heilung significa “Guarigione” o semplicemente il fatto che certa musica ti trova quando è il momento?
Fatto sta che mi stregarono quasi subito. Dal mio punto di vista, benché utile a inquadrare velocemente il genere, usare etichette rischia di precludere un ascolto, ma so che bisogna farlo. È che con gli Heilung abbiamo un doppio problema: non sono una band in senso classico quanto, piuttosto, una sorta di tribù in scala e se da un lato la loro musica può essere accostata a un neo-folk (che vuol dire tutto e niente), o a un pagan-folk – o mettete davanti a folk quel che volete, per esempio “sperimentale”- dall’altro, a qualcuno questa classificazione potrebbe far perdere l’occasione di vivere un’esperienza che va oltre un semplice susseguirsi di tracce perché gli Heilung – se, come me, avete avuto la fortuna di vederli live sapete di cosa parlo – portano alle vostre orecchie e ai vostri occhi un apparato rituale antichissimo, strumenti musicali compresi, risalente addirittura all’Età del Bronzo e all’Era Vikinga.
La leggenda vuole che il nucleo si sia formato circa una decina di anni fa e che tutt’oggi sia composto da un cantante tatuatore, un produttore musicale appassionato di poesia e da Maria Franz, la voce femminile, nonché colei che picchietta davanti al microfono ossa di ignota e inquietante provenienza. A loro si aggiungono, sia in studio che live, svariati altri elementi, fra musicisti, cantanti e danzatori. Ma non basta: la presenza del linguaggio magico e lirico mutuato dalla cultura nordeuropea per cui un feroce guerriero – com’erano Berserkir e Ulfhednar, i guerrieri-belva (orso o lupo) presenti nelle saghe – doveva essere, al contempo, esperto di poesia e musica, è il centro delle loro performance. Tramite gli Heilung, infatti, si perpetua anche l’arte degli scaldi, i poeti che nelle loro composizioni presso le corti norrene utilizzavano le kenningar e cioè delle metafore o perifrasi con precisi riferimenti alla mitologia. ‘Drif’ (‘Raduno‘, agosto 2022), quarto album prodotto sempre da Season of Mist, è una raccolta di brani diversi fra loro ma che, a uno sguardo più approfondito, rappresentano le anime primigenie dell’Europa e tracciano linee che collegano il Grande Nord al Mediterraneo, l’Oriente all’Occidente.
Si inizia con ‘Asja‘, che parla di amore e in antico norreno dovrebbe voler dire “Benedizione”. Alla voce dello sciamano, che risuona bassa e ossessiva, si unisce, quasi come un vento che scende dalle montagne, quella femminile.
‘Asja’ è un canto tradizionale di guarigione e precede ‘Anoana’ che, come ci svela Maria in una video intervista, contiene versi provenienti da monete d’oro di epoca romana il cui significato, però, non è ancora stato decifrato.
La sola espressione riconosciuta è tradotta come “protettore della terra”, che nell’interpretazione degli Heilung si incarna in una giovane donna destinata a proteggere la terra intesa come territorio nel quale si vive ma anche come pianeta.
Nel mondo romano la fanciulla che svolge questo compito e mantiene l’equilibrio fra luce e tenebre è Proserpina, rapita dal dio degli Inferi Plutone e divenuta sua sposa. Proserpina è la Kore (“fanciulla”), la Persefone dei Greci che dopo i lunghi mesi di buio ritorna alla vita di superficie e finalmente riabbraccia la madre Cerere, la Madre Terra. Ed ecco, allora, che su una base di percussioni che è una costante nella musica degli Heilung, la voce femminile è in crescendo, quasi a evocare una primavera.
Protagonista della terza traccia, ‘Tenet‘, è il cosiddetto ‘Quadrato del Sator‘, ovvero un quadrante magico in cui compaiono le parole SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Esse formano un palindromo, cioè si leggono allo stesso modo da sinistra a destra, dall’alto verso il basso, e viceversa. TENET è la parola centrale e in latino significa “tiene” (terza persona singolare del verbo “tenere”, “mantenere”, “reggere”).
Il Quadrato del Sator, ritrovato in varie lapidi e iscrizioni sparse per l’Europa, è stato oggetto di innumerevoli studi e interpretazioni pur rimanendo ancora un oggetto arcano.
Il brano inizia a più voci: un uomo e dei bambini ripetono il palindromo finché, in sottofondo, avvertiamo alcuni inquietanti sussurri. Come spiegano gli Heilung, la musica è stata composta seguendo la costruzione palindromica e questo, a sua volta, ha reso magica anche la canzone.
Il palindromo del Sator, inoltre, genera la cosiddetta ‘croce palindroma’ formata proprio dalla parola TENET… Non starò qui a dilungarmi sul simbolismo della croce e nemmeno sul fatto che secondo le voci della ‘Tradizione‘ si tratta di un ‘asse del mondo’ ma nella storia che si staglia in controluce lungo ‘Drif‘ penso che anche questa volta gli Heilung abbiano tenuto fede alla definizione che identifica il loro lavoro – un viaggio magico nel Medioevo del Nord Europa – aggiungendovi un tassello che amplia la visione sulle nostre origini tramite il recupero di una memoria comune a tutti i popoli europei: l’espansione romana nell’intero continente.
“Civili, proteggete le vostre mogli…” In ‘Urbani‘, infatti, gli Heilung eseguono un carmen triumphalis (canto del trionfo) nell’originale latino riportato da Svetonio. Il canto è in onore di Giulio Cesare, vincitore sui Galli, additato scherzosamente dai soldati come ‘amatore calvo’.
Qui il ritmo è serrato, marziale e ricorda le parate militari di germanica memoria, ma è anche una metafora (una kenning… ricordate? Gli scaldi e le loro composizioni poetiche) del desiderio di conquista da parte di un popolo su altri popoli, del maschio sulla femmina; una cronaca che parla di come è avvenuta la mescolanza delle genti.
A riprova di ciò, ‘Keltentrauer‘ è il racconto di un’antica battaglia immaginaria nella quale le legioni romane vogliono conquistare il Nord ma incontrano un principe che resiste e ‘Nesso‘ (‘Verme‘ in tedesco arcaico) parla di malattia e di morte con un’intensità nell’interpretazione vocale di Maria che lascia davvero sbalorditi.
In essa possiamo sentire la disperazione e lo sforzo della Terra che cerca di liberarsi dai parassiti, vermi maligni che la stanno uccidendo, ma anche il canto di morte di un qualsiasi organismo vivente (nella canzone è un cavallo) attaccato da un agente patogeno letale.
Il collegamento alla recentissima esperienza che tutti abbiamo vissuto, be’, è quasi obbligatorio… Anche se, non dimentichiamolo, con gli Heilung stiamo officiando un rito di Guarigione!
Se è vero, infatti, che ancora di morte parla ‘Buslas Bann‘ (‘La preghiera di Busla‘), tratta da antiche iscrizioni norrene contenenti rune e che riprendono la storia di Busla presente nella Saga di Bosi e Herraud, è altrettanto chiaro che nella settima traccia la morte è preludio di nuova vita: come il seme per poter germogliare deve decomporsi, così un ciclo deve compiersi per aprirne un altro. Le rune, che si trovano in un antico canto apotropaico per trattenere gli spiriti dei morti nella tomba, vengono trasformate dagli Heilung in sei benedizioni, ciascuna patrocinata da uno spirito della natura.
Una Natura madre (non matrigna) che si specchia negli astri e nella musica: la penultima traccia, ‘Nikkal‘, riprende il famoso ‘Inno a Nikkal’, una canzone babilonese considerata il più antico pezzo di musica della storia dell’umanità, pervenutoci dalle profondità dei millenni (gli archeologi la fanno risalire al 1.200 a.C.) e dedicato alla divinità lunare della Mesopotamia, mentre l’album si chiude con ‘Marduk‘ un lungo canto accompagnato dal suono delle ciotole di bronzo in onore del signore degli dei di quella lontana terra. Una terra nella quale sono nate la musica e la scrittura degli Europei.
‘Drif‘, già lo dicevo, è un viaggio alle origini dell’Europa. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, e viceversa, come nel palindromo del Quadrato del Sator, gli Heilung ci fanno ripercorrere un’epopea attraverso antiche sonorità perché guarire, nella loro visione, significa ritornare spiritualmente a uno stato della nostra storia, anche personale, precedente la “caduta”; uno stato nel quale eravamo ancora sani, integri, in contatto con noi stessi e con la Natura. Uno stato nel quale anche il nostro continente era bambino.