Recensione: Drift

Di Marco Tripodi - 21 Dicembre 2016 - 8:00
Drift
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 1995
Nazione:
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75

Drift” arriva nel momento più delicato della carriera dei Flotsam And Jetsam e la musica in esso contenuta fotografa plasticamente questa condizione. Dopo gli sfolgoranti “Doomsday For The Deceiver” (’86) e “No Place For Disgrace” (’88), “When The Storm Comes Down” (’90) non viene accolto con il medesimo entusiasmo, perlomeno non da una buona fetta della critica. L’album sfoggia una produzione discussa e particolare, è il primo lavoro senza Jason Newsted (il cui abbandono risulta abbastanza traumatico per i Flots), si guadagna l’accusa di andare troppo al traino di “And Justice For All”, ha praticamente un unico vero e proprio ritornello canticchiabile (“Suffer The Masses”). “Cuatro” (’92) non migliora le cose, è la presa d’atto che il grunge e il rock alternativo hanno minato le fondamenta del metal (figuriamoci del thrash) ed in qualche maniera viene letto come un ripensamento del sound dei Flotsam in quell’ottica. Metà del pubblico si indispettisce, si parla apertamente di “tradimento”. La band di Phoenix non ha le idee chiarissime e con “Drift” prova ad insistere ulteriormente su quel terreno, prendendosi licenze poetiche anche maggiori, ovvero stemperando ulteriormente i legami col thrash metal degli esordi.

L’impressione che mi ha sempre suscitato “Drift” è di un album ibrido, di transizione, in cui la band cerca di mutar pelle senza però snaturare la propria anima più vera e profonda. Se è vero che la scaletta non contiene martellate ritmiche all’ultimo sangue e che il livello di aggressione e violenza apparentemente risulta calmierato, è altrettanto vero che col trascorrere dei minuti si avverte una tensione strisciante, un’inquietudine, un senso di irrequietezza e nervosismo che destabilizzano. “Me”, “Empty Air”, “12 Year Old With A Gun”, “Smoked Out”, “Destructive Signs” esprimono malessere, negatività, rifiuto di placare un’angoscia che brucia dentro e che non trova un canale positivo di sfogo. I Flotsam hanno una profondità che poche altre band possono vantare, indipendentemente da quanto venga certificato come “doc” il loro thrash sound. Certamente le composizioni di “Drift” non potevano accontentare gli estimatori della band più integralisti e spartani, abituati a ben altro e già pesantemente insospettitisi con “Cuatro”. E tuttavia il quinto episodio di casa Flotsam And Jetsam meritava e meriterebbe ancora oggi di essere preso ed ascoltato come un capitolo a sé, affatto parco o avaro di spunti, argomenti e chiaroscuri.

Drift” arriva nel 1995, spacca il decennio a metà, il decennio più terribile che il metal ricordi, ma contrariamente ad altre band che cercano un po’ goffamente di riciclarsi come neo verginelle industrial o grungettare, i Flotsam mantengono una propria dignità, sperimentano e cercano nuove ispirazioni anche allargando i propri confini musicali ma senza mai svendersi. Ascoltando l’album il loro spirito più autentico rimane integro, l’anima dei Flotsam c’è in questi solchi, anche se declinata con livree più eterogenee rispetto al solito, o perlomeno rispetto a quelle che un thrasher si sarebbe aspettato. Eric A.K. prende per mano i suoi compagni, assumendo ora più che mai il compito di guidare il gruppo in territori affatto familiari. L’apporto del frontman conta moltissimo in questi frangenti, diventa essenziale, dirimente, ed Erik ha una personalità, una versatilità ed una capacità interpretativa tali da mantenere i Flotsam sempre col baricentro dritto. Senza che il rimando suoni blasfemo per nessuno, se dovessimo guardare a “Drift” come al Black Album dei Flotsam ci sarebbe di che esser fieri e soddisfatti, se non – è un parere strettamente personale, non inforcate elmo e spadone – ritenerlo persino preferibile al Nerone di San Francisco (nonché meno spasmodicamente alla ricerca di accettazione da parte di un pubblico più ampio).

Sentite la frustrazione, la rabbia repressa, l’ombrosa delicatezza, l’eleganza di un pezzo come “Destructive Signs”, durante il quale parrebbe quasi di avvertire il tremolìo di nervi e fasce muscolari a stento tenute a freno e ad un passo dall’esplodere. “Drift” è un album liminare, di confine, che sfida il proprio pubblico e lo invita a gettare un occhio dalla parte opposta del recinto, dove l’aggressività, i cambi di tempo e la velocità non definiscono in modo esclusivo la qualità di un disco, dove emozioni profonde, radicate, intense arrivano contro il petto dell’ascoltatore anche mediante strade nuove e diverse. Si potrà imputare all’album di mantenere qualche incertezza, di avere qualche acerbità non del tutto limata al suo interno, ma oggi più di ieri (avendo potuto storicizzare il percorso dei Flotsam e l’ambito musicale all’interno del quale esso è maturato), rimango convinto che “Drift” sia stata una sfida vinta dalla band, senza che tale vittoria le sia mai stata riconosciuta apertamente.

Marco Tripodi

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