Recensione: Drive
Con un certo piacere ritroviamo sulle nostre pagine il nome di una delle voci femminili più importanti del panorama metal attuale, ovvero Anneke Van Giersbergen. La ritroviamo dopo sei anni di assenza durante i quali l’olandese, oramai quarantenne, ha vissuto diverse trasformazioni sia a livello musicale che che personale. Anzitutto quello di essere diventata madre, elemento che ha influenzato fortemente la scelta di abbandonare i The Gathering, ridurre drasticamente l’attività live e avviare un progetto solista che ha portato alla luce due dischi in cinque anni. Questi due dischi portavano avanti il discorso intrapreso dai The Gathering durante la svolta trip rock e, sebbene più che dignitosi (In your room neppure troppo), non riuscivano ad emozionare davvero; l’apporto della band era venuto a mancare e gli effetti erano stati evidenti.
Nel 2012 la svolta con il ritorno ad un sound decisamente più rockeggiante, sebbene molto pop-oriented, condito dal ritorno sulle scene in grande stile e finalmente anche da esibizioni live al di fuori dell’Olanda. Everything is changing da questo punto di vista era stato un titolo profetico, ed era finalmente riuscito a convincere del tutto.
A distanza di un anno giunge Drive con l’intento di confermare quelle buone impressioni. E con esso giunge il supporto della InsideOut, supporto che già di per se è indicatore di ulteriori novità per i più accorti. La InsideOut è, infatti, una label che si occupa di progressive in ogni sua forma; sgombriamo ad ogni modo il campo dicendo fin da subito che la tulipana non si è messa a coverizzare i Pink Floyd. Certo è che Drive vede, ancor più di Everything is changing, il ritorno a sonorità rocciose che producono un sound chitarristico a metà tra i The Gathering che misurano un pianeta (le chitarre sono quelle) e l’AOR più veloce e catchy. Vi è insomma un filo di continuità tra i due dischi nel proporre canzoni brevi (l’album non raggiunge i 40 minuti), ma anche un sensibile cambiamento atmosferico.
Il risultato si riflette in una manciata di pezzi di sicuro effetto e ottimo impatto sulle nostre orecchie. A cominciare dalla maestosa opener We live on alla successiva Treat me like a lady, dai cori Ye ye della title track al ritornello, che speriamo ancora essere una volta profetico, di The best has yet to come. Il tutto inframezzato da una ballad ancora una volta guidata dalle chitarre come She e da due piccoli “esperimenti”: Forgive me, ovvero l’incontro tra AOR e Portishead (per il cantato che omaggia Beth Gibson) e l’arabeggiante Mental jungle, vicina, se si vuole, ai Myrath. Il primo decisamente riuscito, il secondo assai meno.
In tutto questo ci sono però due piccoli nei. Da un lato, l’eccessivo risalto riservato alle chitarre fa si che il disco sia meno vario del suo predecessore, laddove la title track atmosferica o canzoni come Take me home, decisamente incentrate sulle tastiere, avevano un piacevole effetto di break. Così come mancano pezzi più drammatici come Stay. Dall’altro le liriche, pur sempre intimiste, hanno perso lo smalto di un tempo, sia esso rappresentato dai sogni di Kevin’s telescope, dalla disperazione di Saturnine o dall’ermetismo di Great ocean road.
Ma pazienza, nonostante alcune ombre, Drive conferma le capacità sia vocali che compositive di Anneke Van Giersbergen, ribadiendone il talento e la poliedricità. In un panorama di gruppi che costruiscono il suono attorno alla voce di una cantante, l’olandese dimostra che, attorno ad una voce così si possa costruire qualsiasi tipo di suono e produrre sempre qualcosa di bello. In tanti vorremmo che tornasse all’ovile, ma per ora dovremo accontentarci.
Tiziano Vlkodlak Marasco
Sito ufficiale di Anneke Van Giersbergen
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