Recensione: Drive
I The Defiants sono il gruppo composto dai tre ex Danger Danger, Paul Laine, Rob Marcello e Bruno Ravel.
“Drive” è il loro terzo disco, inciso dopo l’omonimo del 2016 e “Zokusho” del 2018.
Propongono un hard rock melodico che si tuffa nei temi cari ai Danger Danger, esattamente come accaduto nei primi due album.
E anche questa volta siamo a livelli altissimi. Soglia capolavoro: nomination tra i dischi dell’anno.
Senza alcuna riserva o distinguo.
Compitino risolto: ci siamo tolti, in quattro parole, il grosso delle cose da dire su questo nuovo cd di Paul Laine e compari. Argomenti che, dopo tutto, sono sempre gli stessi sin dagli esordi.
Si parla d’eccellenza e valore superiore quando ci si riferisce ai The Defiants: non serve sprecare molti altri vocaboli. Anche perché non ci vuole davvero molto per accorgersi di avere a che fare con l’emanazione diretta proprio dei Danger Danger. Anzi la loro continuazione sotto diverso nome. E come accadeva con la band d’origine, con un tipo di musica che non muore, resta vitale e mediante gli interpreti che hanno contribuito a forgiarla, si presenta sempre come fresca e godibile.
Irrinunciabile per chi la ha amata sin dagli inizi.
“Drive” colpisce – cosa parecchio fuori dal comune per un gruppo di ultra-veterani – proprio per la grande freschezza che lo caratterizza.
Scivola veloce, s’ascolta d’un fiato e piace al primo colpo. Ma non scappa dopo pochi passaggi: come i dischi “grandi”, chiede di essere ripassato più volte per essere “vissuto” nel quotidiano. Legato alle memorie, inciso negli attimi di un’estate che si affaccia e ci si augura possa essere festosa, spensierata e carica delle migliori sensazioni che la sua atmosfera ottimista comunica.
Qualcuno penserà, per l’ennesima volta, al classico ed intramontabile sogno degli anni ottanta. Inevitabile: pezzi come “Hey Life“, “Go Big or Go Home“, “19 Summertime” e “What are you Waiting For” sono proprio quello. Danger Danger che s’incrociano con i cori dei Def Leppard.
Accidenti che goduria e che meravigliosa allucinazione…gli eighties si toccano davvero con mano!
Ma senza nemmeno troppa nostalgia: c’è tanta voglia di vivere in questi solchi. E Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno in tempi maledetti come questi…
Del resto, per risultare convincenti potremmo lasciarci andare alla solita didascalica conta delle canzoni, descrivendo la stordente la perfezione che si riverbera in “Miracle”. Qui c’è qualche riferimento – e nemmeno di striscio – alla epocale “Angelia” di Richard Marx. Però, che eleganza e che morbidezza avvolgente…un lento magistrale!
“So Good”, “Love Doesn’t Live Here Anymore”, “Another Time, Another Place” sono assai vicine allo stile dei soliti DD, con un predilezione però per la seconda era, quella dell’ottimo “The Return of the Great Gildersleeves”.
Ulteriore colpo ad effetto infine con “A Night to Remember”, una canzone che sin dagli accordi che si rincorrono ad incorniciare un coro pieno e stellare, valica la dimensione terrena per contrastare tempo e spazio. Andando ancora una volta ad evocare i fantasmi di un tempo remoto carico di fascino e spensieratezza.
Ci sarebbe poi da parlare della voce prodigiosa di Paul Laine e della verve inesauribile dei suoi compagni Marcello e Ravel. Della produzione che non lascia nulla al caso. Degli arrangiamenti che puntano sulla profondità e sui suoni scintillanti,
Ma arrivati a questo punto, faremmo stucchevole accademia appesantendo oltremodo una descrizione già sin troppo carica di superlativi.
Se si ama il rock melodico di radice ottantiana qui c’è davvero parecchio per cui divertirsi.
Siamo in zona vip, quella “alta”, rara, selezionata.
Quella che produce una volta ogni tanto un disco che vale veramente la pena di ascoltare. E che, probabilmente, resterà anche per gli anni a venire.
Un futuro classico?
Ce lo racconterà il tempo…