Recensione: Duke
1970-1971-1972-1973 Sono quattro anni fondamentali per la carriera di uno dei gruppi storici della musica di tutti i tempi. Escono quattro dischi magnifici che in breve tempo porteranno in alto il nome della band di Phil Collins, in alto nella scalata della grande montagna del successo mondiale, un periodo eccezionale intervallato solo dalla pubblicazione del primo live ufficiale nel 1973. A distanza di trenta lunghissimi anni ci rendiamo conto dell’evoluzione spesso e volentieri contestata dai fan più legati ai dischi d’esordio dei Genesis, con l’album che ho il piacere di presentarvi in questa occasione: registrato agli Abba’s Polar Studios di Stoccolma, Duke viene pubblicato nel 1980 a sette anni di distanza dall’epoca di un Peter Gabriel scatenato in Selling England By The Pound e non molto lontano dal cambio di rotta definitivo di And Then There We Are Three, proponendo un sound estremamente nuovo dove la ritmica di basso e batteria incalza e si sovrappone all’enfasi concessa alle chitarre nei primissimi lavori della band. Anche le liriche si discostano parecchio dal passato, in questo caso particolare abbiamo a che fare con un concept album che si concentra sulle controversie che possono nascere tra un uomo e una donna, fino al divorzio del nostro protagonista (di nome Duke appunto) dalla persona che ama, frammento autobiografico del brutto periodo che in questo periodo Phil sta passando.
Stando alla sostanza non si può tuttavia negare la bellezza di un disco nuovo come Duke e quasi imbarazzante per quanto sorprendente, un album in cui il trio Banks/Rutherford/Collins riesce ad arrangiarsi nel migliore dei modi sfoderando le doti artistiche proprie di pochi: superati i tempi d’oro prima e dopo con Peter Gabriel e Steve Hackett, i Genesis dimostrano che un gruppo è definito in questo modo in quanto tale e non può ridursi a rappresentazione di un chitarrista o di un bassista al suo interno. Come tutti sanno una cosa del genere è accaduta anche in ambito Pink Floyd eppure tutti si sono inchinati all’uscita di album come A Momentary Lapse Of Reason o The Division Bell dove di Roger Waters, autore dei più grandi successi della storica band inglese prima di The Final Cut se non sbaglio, non vi era più traccia. Il tempo deforma le ispirazioni ed a maggior ragione i vari cambi di formazione possono contribuire in modo rilevante nell’approccio con la musica, soprattutto quando viene a mancare una colonna portante come un chitarrista di un certo calibro: non limitiamoci a parlare di svolta in senso commerciale, certo questo disco contiene Misunderstood uno dei più grandi successi passati alla radio scritti dal novello Phil Collins compositore, tuttavia l’essenza è ancora progressiva seppur satura ed impregnata da un eccesso di tastiere doveroso da ricordare. Indimenticabile Man Of Our Times: provare per non credere alle proprie orecchie. Questo è l’unico e il solo disco di addio dei grandi Genesis…
Andrea’Onirica’Perdichizzi
1. Behind The Lines
2. Duchess
3. Guide Vocal
4. Man Of Our Times
5. Misunderstanding
6. Heathaze
7. Turn It On Again
8. Alone Tonight
9. Cul-De-Sac
10.Please Don’t Ask
11.Duke’s Travels
12.Duke’s End