Recensione: Durch Den Traum
Dopo una attesa di quasi cinque anni, meno di dodici mesi fa i Dornenreich son tornati a farsi sentire con “Hexenwind” e ora ecco questo “Durch den Traum”. In realtà l’uscita di questi due dischi non avrebbe dovuto essere così ravvicinata, ma alcuni problemi avevano portato a posticipare sempre più la pubblicazione del precedente lavoro. Questo in concomitanza ha portato anche Evìga, co-fondatore del gruppo con Valnes e ormai cardine che regge da solo l’intera band, a ripensare spesso a quell’album rendendone quindi “Durch den Traum” una sorta di ideale continuazione.
Le coordinate musicali in cui si muove la band sono quelle del black (spesso visto in ottica più filosofica che musicale), del folk e soprattutto dell’ambient. I paragoni più calzanti che subito sovvengono alla mente son quelli con dischi come “Filosofem” di Burzum, pur mantenendosi su una maggiore pulizia del suono.
Secondo le stesse affermazioni di Evìga, non si tratta di un disco di musica, ma di un viaggio dentro se stessi alla riscoperta del proprio vero io. Siamo portati a credergli ascoltando queste otto tracce senza titolo in cui abbondano i silenzi e i momenti in cui udiamo solo un sussurro del cantante che sembra bisbigliarci all’orecchio. Forse è proprio a causa di questi passaggi che le occasioni in cui il ritmo sale leggermente e sentiamo anche chitarre, basso e batteria, ci sembrano vere e proprie aggressioni sonore, anche se spesso son ben distanti dalle sfuriate di gruppi dediti a un black più d’impatto.
Per essere una sorta di “ideale prosecuzione” di “Hexenwind” ci troviamo forse un po’ spaesati. Se il precedente cd avrebbe quasi potuto essere catalogato come commerciale, in grado di presentare i Dornenreich a un nuovo e più vasto pubblico, al contrario questo “Durch Den Traum” pare un deciso passo indietro. Un album estremamente personale, lontano anni luce dal suo predecessore e proprio per questo sicuramente in grado di far storcere più di un naso.
Come si diceva inizialmente, le anime di questo disco sono varie e molteplici, al contempo però riescono quasi sempre ad esprimersi anche all’interno della stessa canzone. Il folk in particolare è quasi sempre presente come una sorta di ombra che si tiene sempre alle spalle della melodia principale, senza mai sparire del tutto, ma anche mostrandosi poche volte in primo piano. Questa scelta aiuta ad amalgamare il disco, ad avere un sound piuttosto omogeneo per tutte e otto le tracce del cd. Effetto che è incrementato anche dal fatto che i brani sfumano quasi l’uno nell’altro, come se in realtà fossimo di fronte a un’unica e lunghissima canzone. Una scelta forte, come forte è tutto l’album in virtù delle emozioni che suscita, e che pone di fronte a una specie di “aut-aut” come solo pochi gruppi famosi son riusciti a fare: o piace o non piace.
Potrebbe sembrare paradossale che un disco in grado di comunicare una gamma così ampia di sentimenti nell’animo dell’ascoltatore, in realtà susciti una risposta così poco sfumata. È piuttosto ovvio, quindi, che il destino di questo album sia quello di dividere diametralmente l’uditorio, perché questa musica parla direttamente alle corde emotive di ognuno, che in ogni persona son diverse. Non è un disco che si ascolta con la testa, ma un disco di pancia e come tale andrebbe giudicato.
Dare un voto a un disco simile è piuttosto difficile, in particolare per la qualità intimistica della musica che propone. A ognuno può fare un effetto diverso, dal viaggio nell’anima, alla noia mortale, ma è solo attraverso le sensazioni che trasmette che lo si può giudicare. Analizzare la qualità della semplice musica, delle note messe in fila, sarebbe come svilire un album che punta tutto sull’atmosfera, anche attraverso soluzioni apparentemente semplici, ma che spesso colpiscono nel segno.
Tracklist:
01 I
02 II
03 III
04 IV
05 V
06 VI
07 VII
08 VIII
Alex “Engash-Krul” Calvi