Recensione: Duskmachine
Saranno sconosciuti ai più, ma questi tedeschi Duskmachine spaccano davvero di brutto. Ehm… sconosciuti e tedeschi? Non mi sono espresso correttamente. Il fondatore è sì tedesco, ma la formazione restante è quanto di più internazionale si possa immaginare. A supportare Nikolai Wurk, dietro agli strumenti, presenziano niente meno che il talentuoso batterista Randy Black (Primal Fear, Deception, Annihilator, Rebellion), Russell Bergquist (Annihilator) e il chitarrista e cantante Joe Comeau (Liege Lord, Annihilator, Jack Frost, Overkill, Tad Morose). Nomi noti quindi. Nomi che hanno avuto occasione di suonare, grazie a del vero e proprio talento, in band come quelle che trovate indicate tra parentesi. E il risultato attesta quanto ipotizzato.
L’omonimo secondo disco della loro carriera, “Duskmachine”, è (finalmente!) un disco originale se confrontato con la maggior parte delle release in uscita sul mercato di recente. È un disco che propone un songwriting dinamico ed irrequieto e che non disdegna ventate di energico groove e, a volerla dire tutta, lascia pure spazio ad attimi di intensa emozione grazie alle raffinate ed eleganti partiture di alcuni pezzi. Insomma ce n’è per tutti i gusti. Ovviamente ci riferiamo ai gusti di un’utenza amante del thrash-speed-heavy perché, nella sostanza dei fatti, è questo il contesto artistico su cui si muove, a 360°, il gruppo.
A voler subito spezzare una lancia a favore del quartetto, vi prego di non fermarvi all’ascolto dell’opener, unico punto debole dell’intero disco. Atteggiamento anomalo se si considera che il classico ‘biglietto di presentazione’ è quello che poi ti incuriosisce e ti sprona all’approfondimento. Il brano si trascina per oltre cinque minuti tra un groove e l’altro lasciandosi dietro un senso di pesantezza notevole. Il tutto cambia dalla seconda traccia in avanti. La band si esprime con piglio di gente navigata. Offre una varietà di soluzioni brillanti, sia a livello di riffing, sia a livello di interpretazione da parte del favoloso Joe Comeau che caccia fuori dalla gola una prestazione da 110 e lode! Espressivo, capace di giostrare growl, clean e un cantato arrabbiato che caratterizza la maggior parte dei lineamenti espressivi del full-length. La sua teatralità era già nota in “Waking the Fury” degli Annihilator (disco che ha visto anche l’eccellente partecipazione alle pelli da parte di Randy Black), ma qui il frontman si supera dimostrando che il processo di crescita di un artista non ha età (49 anni nel momento in cui scriviamo!).
A farla da padrone in termini di metal roccioso ci pensano poi la maggior parte degli altri brani a seguire, pezzi che, a testa alta, esprimono una gran forte personalità. E che personalità. Ecco a voi quindi la granitica Endless, l’aggressiva e psichedelica title track piuttosto che l’epica e maestosa Dying in my Skin, la raffinatissima ballata My Empty Room, per chiudere alla grande con il thrash ‘teatrale’ di Escaping.
Vi lasciamo quindi con il sincero consiglio di dar un’ascoltata a questo disco, davvero importante e significativo per un mercato troppo spesso sterile di idee ed approsimativo per quanto concerne la preparazione tecnica dei musicisti in questione.
Nel caso dei Duskmachine potete stare tranquilli: qualità a tonnellate, capacità pure… resta solo l’ormai sempre vera considerazione: ‘de gustibus non est disputandum’. Però, che bella fortuna poter avere per le mani un disco che finalmente propone un lotto di brani così diversi l’uno dall’altro… ahhh, che ventata di freschezza! Ci voleva proprio!
Nicola Furlan
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