Recensione: Dust
A distanza di due anni da Pilgrim si riaffacciano sulla scena metal i Thron con il loro quarto album in studio, in otto anni di onorata carriera.
La musica della band teutonica attinge a piene mani dal più classico death metal sinfonico di matrice svedese – l’accostamento a band come Necrophobic è del tutto naturale; non è da escludere che dietro al progetto ci sia anche qualche nome famoso, suggestione che potrebbe trovare qualche conferma nel fatto che i membri della band siano nascosti dietro indefinite “sigle”. Questo Dust, contiene però qualcosa in più rispetto al suo predecessore. I riferimenti all’Oscura Signora si fanno più forti già dalla scelta del nome del disco, che richiama un concetto legato alla morte. “Cenere alla cenere, polvere alla polvere” è una locuzione della Bibbia, ma allo stesso tempo un monito all’uomo, che tornerà ad essere ciò che è stato: nella Genesi, il libro del mito della creazione, Dio dà vita ad una sagoma composta da terra e acqua, dando vita all’essere umano. Concetto rafforzato dall’artwork in cui emerge una figura che ricorda la personificazione della Morte, seduta sopra una struttura composta da resti umani pietrificati, che tende la sua mano.
Dust è composto da undici brani per quasi un’ora di ascolto, con un sound molto compatto nella sua diversità e piuttosto delineato, che si muove tra diverse sonorità: dal black al death, passando per il progressive e l’heavy metal. C’è parecchia carne al fuoco in questo full length ma il vero minimo comun denominatore, tra le undici canzoni, è l’abilità compositiva della sezione armonica: già, perché il lavoro di PVIII è il vero cuore oscuro e pulsante del progetto dei Thron. Le capacità tecniche del chitarrista sono tangibili attraverso l’ascolto di Dust, alternando sapientemente riff, arrangiamenti e fraseggi che catturano l’attenzione e “l’orecchio” all’ascoltatore. Probabilmente il brano che sintetizza al meglio il nuovo corso della band è The Golden Calf, in cui i Thron si muovono sapientemente tra un’intro death dal retrogusto heavy con un animo black, impreziosito da passaggi tendenzialmente prog; il tutto sapientemente mixato e servito in una cornice oscura. La grande abilità della band tedesca, sta proprio nella capacità di amalgamare il sound e le quattro anime che lo caratterizzano, affinché nessuna delle stesse sia predominante rispetto alle altre; questo, alla fine risulta essere un pregio ma anche un limite di un disco che comunque è suonato in modo egregio.
In ogni caso questo album, mostra, più del predecessore, l’abilità tecnica della band; una maggiore decisione in fase compositiva avrebbe alzato l’asticella di Dust.