Recensione: Dustwalker
“Bergtatt” degli Ulver è uno di quei dischi che, piaccia o no, ha esercitato la propria influenza su un’intera generazione di gruppi black metal. Il disco, un mirabile esempio di black metal atmosferico di elevato spessore artistico, ha finito per rivoluzionare l’intera scena, dando il via a un nuovo modo di intendere il metal estremo. Questa nuova formula musicale è stata poi portata avanti da numerose formazioni, tra le quali figurano gli inglesi Fen.
Il gruppo londinese, figlio da una parte del sound ulveriano e dall’altra di Opeth e Agalloch, nonostante la recente nascita, già può vantare una nutrita discografia, composta da un EP, un demo, uno split in compagnia dei De Arma e non ultimi tre full-length.
“Epoch”, disco datato 2011, aveva lasciato un po’ tutti di stucco: il salto qualitativo fatto dal trio inglese a due anni dal precedente “The Malediction Fields” aveva quasi dell’incredibile. L’eleganza e la maturità artistica raggiunte, degne delle più esperte e navigate menti musicali della scena, aveva convinto anche i più scettici, che dovettero riconoscere l’evidente stato di grazia del combo.
Un biennio dopo quel piccolo gioiello, i Nostri tornano a calcare le scene con il nuovo “Dustwalker”. Inutile negarlo, le aspettative cresciute attorno a questo disco, almeno da parte del sottoscritto, era decisamente alte, ma saranno state soddisfatte? Lo vedremo a breve.
Partiamo affermando da subito che la proposta dei Fen non ha subito alcuno stravolgimento, sebbene le atmosfere oniriche, a tratti dimesse, del suo predecessore, in quest’ultimo parto trovano molto meno spazio. Ciò significa che, in generale, il tutto suona più secco, “cattivo” e diretto, nonostante non manchino aperture melodiche di ampio respiro e le canzoni continuino a presentare le consuete strutture di stampo progressivo.
Il minutaggio estremamente diluito dei brani, che non di rado supera i 10 primi, permette al combo di mettere in mostra tutta la propria abilità strumentale: i ragazzi si dimostrano abili musicisti, capaci di affrontare con estrema facilità e coscienza dei propri mezzi anche i passaggi più tortuosi dell’opera.
Generalmente, si può affermare che quest’ultimo parto, qualitativamente parlando, si attesta diversi gradini al di sotto non solo del bellissimo “Epoch”, ma anche del più immaturo “The Malediction Fields”. Perché? Semplice, perché i pezzi mancano quasi tutti di anima e passione. Il problema di questo lavoro è, infatti, quello di essere formalmente perfetto ma di essere anche estremamente arido per quel che riguarda l’aspetto emotivo. Laddove i due precedenti full-length riuscivano a catturare l’attenzione per le emozioni capaci di scatenare, questo fallisce su tutta la linea, risultando eccessivamente “asciutto”.
Premendo il tasto play, “Consequence” ci introduce a “Dustwalker”. Il pezzo, sin dai primi ascolti, mostra tutti i limiti cui si faceva riferimento in precedenza. L’episodio riporta alla mente quanto proposto dagli Enslaved in “Axioma Ethica Odini”, senza però raggiungere tali picchi di genialità. Il drumming risulta decisamente troppo pesante e anche un pelo troppo lineare in più di un passaggio. Va decisamente meglio per quanto riguarda la voce: The Watcher, per quanto concerne le harsh vocals, svolge un lavoro privo di qualsiasi sbavatura tecnica, riuscendo a dare un minimo di carattere alla song.
Le cose non migliorano tanto neanche quando il combo vira in maniera netta verso territori più vicini al post-rock: il manierismo e la prevedibilità pervadono ogni singola nota di “Hands of Dust” e di “Spectre”, che, pur nella loro innegabile gradevolezza, appaiono come copie sbiadite degli Agalloch dello splendido “The Mantle” e dell’Alcest di “Souvenirs d’un autre monde”.
A conti fatti, le uniche tracce che veramente rimangono impresse nella mente dell’ascoltatore sono “The Black Sound” e “Walking the Crowpath”. Il primo episodio riporta alla mente i migliori Fen, grazie a un arrangiamento raffinato, che di sicuro farà breccia nei cuori di tutti i fan della band. Nonostante la voce pulita continui a presentare qualche leggera incertezza, è proprio quando questa entra in campo che le atmosfere sprigionano quel pathos che aveva caratterizzato “Epoch”.
Il secondo si ricollega, ancora una volta, al discorso musicale cominciato anni fa dagli Agalloch. La dinamicità dal pezzo -conferita da una sessione ritmica particolarmente movimentata e varia-, assieme ai bellissimi intrecci tessuti dalle sei corde, riescono a far guadagnare al brano la palma di migliore del lotto.
Come da peggiore tradizione di casa Fen, anche questa volta il mixing risulta approssimativo e poco definito: gli strumenti non di rado si sovrastano, presentando un suono piuttosto impastato e sporco. Proprio a causa del missaggio, talvolta non si riescono neanche a cogliere talune sfumature sonore create del gruppo.
Nulla da eccepire, come già detto in precedenza, per quel che concerne la prestazione tecnica offertaci: ciascuno dei musicisti svolge il proprio lavoro con precisione certosina, sfoderando una prestazione globalmente priva di sbavature.
Come valutare, alla luce di quanto detto, questo “Dustwalker”? Indubbiamente come un enorme passo indietro, specie se rapportato al suo splendido predecessore. La sufficienza, globalmente, è ampiamente raggiunta, ma purtroppo sembra che i Nostri stavolta non abbiano voluto osare.
Consci delle immense capacità del gruppo e speranzosi che si riprendano quanto prima, per ora non ci resta che accontentarci di un disco, questo, carino ma nulla più.
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Emanuele Calderone
Tracklist:
01. Consequence
02. Hands of Dust
03. Spectre
04. Reflections
05. Wolf Sun
06. The Black Sound
07. Walking the Crowpath
Line Up:
Grungyn – Basso, voce
The Watcher – Chitarra, voce
Derwydd – Batteria