Recensione: Dystopia
Il 2016 metallico si presenta in maniera quasi autoritaria. I Megadeth del Reverendo Mustaine, dopo l’ennesima rivoluzione in lineup, tornano sulle scene con un disco tutto nuovo, l’attesissimo Dystopia. La band americana rappresenta uno di quei nomi che risiedono di diritto nell’Olimpo del metal e che è conosciuto non solo tra gli appassionati di musica dura. Un gruppo che, nel bene o nel male, fa sempre parlare di sé. D’altronde, non potrebbe essere diversamente, stiamo parlando di una formazione che con Rust In Peace (1990) ha scritto quello che, a tutti gli effetti, è il manifesto di un certo modo di concepire il thrash. I successivi Countdown To Extinction e Youthanasia, pur sollevando pareri contrastanti, sono due classici del metal, impossibile negarlo.
Forse, però, non ha molto senso parlare del passato, di ciò che i Megadeth sono stati. La storia è nota a tutti e non ci aiuterebbe a capire Dystopia. Meglio faremmo ad affrontare i capitoli più recenti del quartetto americano, partendo da quel 2004, quando uscì The System Has Failed. Il disco sancì il ritorno in pista della band californiana, delineando quello che può esser definito il nuovo corso di Mustaine e compagni. Sotto alcuni punti di vista fu un album acerbo, ma mise in evidenza la voglia del chitarrista americano di rispolverare l’aggressività, quel riffing, vero e proprio trademark della band, che aveva caratterizzato i primi quattro lavori, unendoli alla melodia dei due platter della prima metà degli anni Novanta citati poco sopra. Il risultato fu un album heavy/speed con una forte connotazione thrashy, in cui il marchio Megadeth era ben riconoscibile.
Come dicevamo, però, fu un album acerbo, i “nuovi” Megadeth dovevano ancora affinare la propria proposta. Cosa che avvenne con i due successivi lavori, United Abomination e Endgame. Il primo – forse qualitativamente più continuo rispetto al successore – più legato alle melodie periodo Countdown To Extinction e Youthanasia, il secondo, molto più aggressivo. Proprio con il disco del 2009, grazie a una formazione finalmente stabile e una nuova voglia di graffiare come solo Mustaine sa fare, sembrava che il quartetto americano stesse per risorgere. Purtroppo, non fu così. Arrivò il poco ispirato Th1rt3en seguito da Super Collider, un disco in cui il Reverendo, forse, voleva provare qualcosa di diverso ma il cui risultato fu tutt’altro che memorabile.
Gli ultimi anni sono stati convulsi, caratterizzati da un nuovo terremoto interno, una nuova rivoluzione in lineup. Fuori Broderick e Drover, due posti vacanti, il sogno di molti fan di poter rivedere nuovamente assieme la formazione del 1990. Fecero il loro ingresso, invece, Kiko Luoreiro (Angra) alla chitarra, e Chris Adler (Lamb Of God) alla batteria. Pensieri, paure, iniziarono a susseguirsi tra gli appassionati. E se non fossero i nomi giusti? Che ne sarebbe dei Megadeth?
Dystopia rappresenta, quindi, un capitolo fondamentale nella storia della band californiana. Può sancirne la risurrezione, come, invece, dare seguito al declino avvenuto con gli ultimi due dischi e rappresentare la fine della storica formazione americana. Ovviamente, la risurrezione va vista all’interno del nuovo corso dei Megadeth, il passato, quel pesante passato che tutti conosciamo, è, al momento, inarrivabile. Ma quindi, la quindicesima fatica del combo di Los Angeles, che cos’è? Rinascita o oblio? Questa la domanda che vi starete sicuramente ponendo. La risposta è semplice: Dystopia è la rinascita dei Megadeth. Il disco si attesta sui livelli dei già citati United Abomination e Endgame. Anzi, sembra il corretto amalgama di quei due album. La melodia si mescola alle sfuriate speed/thrash che contraddistinguono il riffing di Mustaine, alla perfezione. Già i singoli che anticiparono l’uscita del full length avevano fatto intravedere questa possibilità e ora, Dystopia, nella sua interezza, fuga ogni dubbio. L’album, qualitativamente parlando, è continuo, non ha cali di tensione. Parte con la tavoletta dell’acceleratore a fondo: The Threat Is Real, la title track e Fatal Illusion si susseguono una dietro l’altra mettendo in evidenza come il duo Mustaine/Loureiro sia già in perfetta simbiosi. Riff granitici, abrasivi, assoli in tipica scuola Megadeth, sono lì, ad ipnotizzare l’ascoltatore. Si respira un’aria piacevole, un’aria che risponde al nome di ispirazione e, soprattutto, personalità. Già, perché Luoreiro non è solamente un bravo esecutore come Broderick, è uno che gli attributi li ha, eccome se li ha. E quasi di riflesso, Mustaine, ne trae giovamento. La sua penna si scalda, vuole scrivere, comporre. Questa perfetta simbiosi sarà una caratteristica del disco. Anche Elleffson, dopo la prestazione sotto i suoi standard avuta in Super Collider, ritorna ai soliti alti livelli, come se il ripartire da una nuova lineup e l’esperienza Metal Allegiance, gli avessero trasmesso nuovi stimoli. Adler è una sicurezza e il suo drumming è un valore aggiunto. Non è assolutamente invadente, risulta preciso, incalzante e pronto ad inserire degli abbellimenti che denotano capacità tecniche e buon gusto.
Dopo l’assalto frontale delle prime tre tracce, i Megadeth alzano il piede dall’acceleratore lasciando spazio a tempi più cadenzati e, in alcuni casi, vedi Post American World e Poisonous Shadows, atmosfere cupe. Proprio in queste tracce, Mustaine si mette in evidenza. Stavolta non per la prestazione alla chitarra ma per l’ottima interpretazione vocale. Tutti siamo a conoscenza che, da sempre, in particolare negli ultimi anni, la voce è il suo tallone d’Achille. In Dystopia, invece, la performance al microfono esprime, come meglio non potrebbe fare, i colori che vengono trasmessi dalle musiche, come se il chitarrista/cantante vivesse ogni singola canzone.
Siamo quasi arrivati alla fine del disco, ci imbattiamo nella cupa strumentale Conquer Or Die!, dove i due chitarristi mettono in mostra il proprio talento. Con Lying In State si ritorna a pestare duro, risulta quasi impossibile trattenere l’headbanging. Una canzone caratterizzata da una ritmica assassina, un gran riff di chitarra valorizzato dal drumming di Adler. Senza considerare le ottime melodie che incontriamo nel ritornello, nell’assolo e nella parte finale della track. Inoltre, sorprende nuovamente Mustaine per la prova al microfono. Cattiveria, melodia, capacità espressiva, da quanto non lo sentivamo cantare così. Se riuscisse a ripetere in sede live quanto messo in mostra su disco, beh, il tour di supporto a Dystopia risulterebbe ancor più interessante. Tocca poi a The Emperor, traccia che, per la sua struttura, sembra uscire da Super Collider, anche se la qualità qui espressa è assai superiore. Il full length si chiude con un vecchio sfizio del Reverendo Mustaine, una cover. Stavolta tocca a Foreign Policy dei Fear, come sempre ben riarrangiata in chiave Megadeth.
Cos’altro dire su Dystopia? Sicuramente che è un disco riuscito, uno dei migliori dei Megadeth del nuovo millennio, forse, il migliore. Convivono tutte le anime della personalità musicale di Mustaine: thrash, speed, heavy. Convivono melodia e aggressività, lasciando spazio, in alcuni tratti, a colori più cupi. La prestazione dei singoli è di primissimo livello, ispirata, calda, sinonimo di una formazione che, almeno in studio, sembra esser coesa, con le idee chiare sul percorso da seguire. Se proprio volessimo tirar fuori il classico pelo nell’uovo, andrebbe segnalata la scelta dei suoni. Le chitarre, pur venendo valorizzate nella solistica, perdono qualcosa nella ritmica, risultando leggerine. Se fossero state più grosse il disco ne avrebbe ulteriormente giovato. Ma questi sono dettagli, ciò che importa è che i Megadeth sono tornati, sperando che la qualità espressa in questo quindicesimo lavoro possa durare e non essere un fuoco di paglia. Ma è inutile divagare, ora. Meglio concentrarci e goderci Dystopia, un disco che acquista fascino ascolto dopo ascolto, un disco che regalerà alcuni passaggi obbligatori nei futuri live del quartetto californiano. Dystopia, Bullet To The Brain, Post American World, Poisonous Shadows e Lying In State, sono canzoni che difficilmente lasceranno impassibile l’ascoltatore. Ma come dicevamo, è l’intero disco a brillare, a non aver cali di tensione. Non rimane che augurarvi buon ascolto. Ah, quasi dimenticavo: bentornati Megadeth.
Marco Donè