Recensione: Dystopia
Dodici album sono tanti, per i precursori del metalcore melodico europeo, i Caliban. Tanti per dimostrare un’esperienza nel genere di cui trattasi che si assesta sui massimi livelli possibili, tanti per dimostrare una continuità produttiva senza interruzioni di sorta, tanti per rischiare di essere ripetitivi, dal quel lontano 1997.
Già il titolo mette in falsamente guardia, coinvolgendo uno dei concetti più abusati negli ultimi anni, sia come musica, sia come cinematografia di fantascienza: “Dystopia”. Non il massimo dell’originalità, insomma, anche se non è certo dal nome di un disco che se ne deve valutare la qualità tecnico-artistica.
E infatti il formidabile quintetto teutonico spazza via ogni dubbio sulla sua vena creativa mediante undici tracce dall’alto peso specifico, organizzate in modo da non creare alcun depotenziamento in un sound micidiale, possente, titanico. Ancora una volta, chi dovesse accostare i Nostri all’easy listening compirebbe un errore madornale. Essi, difatti, mettono su, come sempre, un granitico nonché enorme muro di suono, degno delle band più talentuose in materia di metal (semi) estremo.
Talento tecnico, anzitutto, che pone Andreas Dörner & compagni ai vertici di un suono dalla potenza esorbitante ma preciso come la mano di un chirurgo. Suono pertanto tagliente, secco, che si muove al battito del metronomo. Suono che si rende costantemente al passo dei tempi grazie alla commistione con la musica elettronica, e quindi grazie all’uso di campionamenti e sintetizzatori.
Suono che resta allineato anzi adeso come una sanguisuga all’inimitabile stile del combo di Essen, certamente non sconvolgente in fatto di originalità ma testardamente fedele a se stesso. Uno stile che lo identifica immediatamente, marchiando a fuoco, ancora una volta, un LP. LP che profuma di Caliban lontano un miglio.
Probabilmente, rispetto al passato, è stata fatta una scelta improntata più sull’aggressività, addirittura brutalità in certi casi, da intersecare ad angolo retto gli splendidi ritornelli che squarciano il blu di un cielo altrimenti plumbeo. Invece di ammorbidirsi, per dirla facile, i Caliban si sono incattiviti.
Tuttavia, ancora una volta, ciò che rende “Dystopia” un’opera al di sopra della media è la bontà, anzi talento artistico, che scorre come un fiume in piena nel lavorio dei blocchi di acciaio sì da trasformali in canzoni. Sì, le canzoni. Ancora una volta la grande classe compositiva della formazione tedesca ha dato vita a brani tutti, e si ribadisce, tutti, meritevoli di attenzione. Inutile citarli tutti in una sorta di track-by-track poiché, almeno a parere di chi scrive, si perderebbe la magia di un songwriting retaggio di pochi. Anzi, nel campo del melodic metalcore, sempre a parere di chi scrive, nessuno.
Giusto per citarne alcune, non può lasciare indifferenti ‘VirUs’, violenta antitesi fra aggressività e melodiosità, scandita da un riffing spaccaossa e da cori anthemici. La hit dell’album assieme a ‘Darkness I Became’, sicuramente. Oppure ‘sWords’, violentissimo assalto fonico, che ricorda un po’ gli Slipknot per l’incedere assassino. E così via, canzoni su canzoni sempre sul pezzo, sempre piacevoli, sempre spaccaossa.
Ancora una volta i Caliban non sbagliano il colpo con “Dystopia”. Gli anni passano ma loro restano fra i migliori. Bravura nella scrittura infinita, muscoli super allenati, chorus trasognanti. Difficile anzi impossibile, fare meglio nel campo del metalcore melodico. Non c’è alcuna preclusione, ma solo la richiesta di apertura mentale e di predisposizione all’innovazione. Solo così “Dystopia” potrà mostrare tutti i suoi tesori nascosti.
Teoricamente, in definitiva, un lavoro per tutti.
Daniele “dani66” D’Adamo
