Recensione: Ear X-tacy
Immagino che la chitarra elettrica nel rock sarà lo strumento di riferimento anche negli anni futuri. Riesce puntualmente a risorgere dalle sue ceneri come l’ araba fenice; quando sembra aver suonato tutto quello che c’ era da ascoltare, ecco che ti sorprende con qualcosa che non hai mai udito prima.
All’ inizio degli anni ’90 lo strumento stava vivendo giorni travagliati, schiacciato com’ era dall’ ondata del grunge, l’ ipertecnicismo degli shredders che ormai stava diventando la pantomima di sé stesso e i mal riusciti lavori dei nuovi interpreti che si adoperavano bene solo nell’ imitazione, al limite del plagio, dei mostri sacri del decennio appena trascorso (Malmsteen, Satriani, Vai, etc.). Poi però qualcosa successe. E la chitarra elettrica tornò a nuova vita con albums incredibilmente sensazionali per la loro bellezza e la loro originalità, come questo “Ear X-tacy”, generato dall’ underground e subito divenuto un classico, che mi appresto a recensire. Il suo autore Andy Timmons certo non è tra i chitarristi più conosciuti, anche oggi a distanza di più di dieci anni da quando l’ album d’ esordio in questione vide la luce, nonostante gli splendidi lavori che sono seguiti in una discografia che è tutta da ascoltare e conservare con cura, nonostante la militanza nel gruppo hard-rock dei Danger Danger, nonostante le apparizioni nelle date statunitensi del tour del G3, nonostante le molteplici clinics tenute in giro per il mondo come endorser Ibanez, nonostante la sua opera di turnista di lusso con molti artisti del mainstream. Ma, si sa, così va il mondo: la vera arte è per pochi.
Quest’ album vuole essere una specie di tributo agli artisti, soprattutto chitarristi, che lo avevano influenzato negli anni dei suoi studi giovanili e che gli avevano permesso di apprezzare diversi generi musicali, imparando a fonderli nel suo stile unico ed inimitabile. Così in “Ear X-tacy” troviamo pezzi dedicati a Steve Ray Vaughan come I Remember Stevie, echi hendrixiani in Electric Gypsy, rimandi a Pat Metheny nell’ intimistica No More Goodbyes, un tocco di Jeff Beck nel brano di chiusura There Are No Words, la mescolanza di country-western e rock tipica di Steve Morse in Farmer Sez, l’ attitudine pirotecnica di Satriani nella song d’ apertura Carpe Diem. Insomma ce n’ è per tutti i gusti in questa splendida rappresentazione di stili ed influssi diversi, ri-elaborati dal cuore e dal cervello di Andy Timmons che li rende assolutamente ed inevitabilmente parte del suo bagaglio originale, senza mai che l’ ispirazione stilistica sconfini nella sterile imitazione, o peggio nel plagio. E che dire a proposito dell’ originalità dell’ autore in quei pezzi che suonano più propriamente come esclusivamente suoi tipo Cry For You? Macigni che pesano nella ri-interpretazione presente e futura di uno strumento a sei corde. Si comprende ascoltando brani del genere la dote peculiare di Timmons nel costruire una cellula melodica pregnante e veramente evocativa del titolo del brano stesso, attorno cui costruire un lungo solo ininterrotto che inizia in sordina e poi raggiunge livelli di suono altissimi grazie ad una gestione della dinamica che funge da tramite dell’ espressione emozionale dell’ autore, anche nelle sue sfumature minime. Sullo stesso schema è costruita anche l’ emozionante Hiroshima (Pray For Peace) in cui il sapiente uso degli armonici artificiali crea una miscela dal tipico sapore orientale.
Dopo aver ascoltato quest’ album vi rimarrà l’ impressione che la sobrietà stilistica di Andy Timmons unita alla sua ricerca della perfezione esecutiva hanno generato un tipo di chitarrismo che io francamente faccio fatica a catalogare: una forma nuova, più moderna che vintage, molto diversa da quanto si era udito fino ad allora. Certo il suo bagaglio tecnico, pur impressionante, è sempre messo al servizio della composizione per tirar fuori dalla chitarra armonie quanto mai evocative e non c’è un punto in cui viene usato per banali esercizi di auto-compiacimento.
Comprendo che, come diceva Einstein, è più difficile spezzare un pregiudizio che un atomo, ma vi invito a scacciare lo spettro dei luoghi comuni che appare spesso di fronte ad album di chitarra interamente strumentali come questo “Ear X-tacy”. Cercate di accostarvi ad Andy Timmons come fareste con il vostro artista preferito e verrete ricompensati godendo dell’ estasi che viene generata dalle sue dita. Estasi pura. E’ questa la summa ultima di codesto album.
Tracklist:
- Carpe Diem
- Turn Away
- I Remember Stevie
- Cry for You
- Farmer Sez
- Electric Gypsy
- I Have No Idea
- This Time for Sure
- It’s Getting Better
- Hiroshima (Pray for Peace)
- No More Goodbyes
- Bust a Soda
- There Are No Words