Recensione: Earth

Di Stefano Burini - 6 Ottobre 2013 - 16:36
Earth
Band: Monsterworks
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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70

 
Dei britannici Monsterworks, altra band londinese dedita a sonorità decisamente estreme e miscellanee seppur non troppo vicine a quelle dei conterranei The Defiled, si sente parlare tutto sommato poco; testimonianza ne siano i soli, ad ora, 259 fans sulla pagina Facebook ufficiale. 
 
Strano, poiché il presente “Earth”, album dalla copertina affascinante quanto dannatamente tradizionalista (qualcuno ha detto ”The New Order” dei Testament?), esce a meno di un anno di distanza dal precedente “Album Of Man”, permettendo ai Monsterworks di giungere all’invidiabile traguardo dell’undicesimo capitolo da studio (EP compresi). Più spiegabile, una volta inserito il disco nel player, giacché la proposta dei quattro englishmen (Jon alla voce e alla chitarra ritmica, Marcus alla chitarra solista, Hugo al basso e James dietro le pelli) risulta sufficientemente interessante, ancorché di non semplice fruizione. 
 
In estrema sintesi, il loro è un metal moderno e parimenti influenzato dal thrash/speed old school quanto dall’hard rock più selvaggio e dalle ultime tendenze di matrice djent. Un mix di generi in cui le spesse chitarre, le ritmiche rockeggianti, i cambi di tempo degni di certo prog/mathcore e lo screaming acutissimo e abrasivo di Jon costituiscono i punti cardine. 
 
L’efficace opener “From Dust And Gravity” catalizza immediatamente l’attenzione grazie alla melodia accidentata ma intelligibile, al riffing affilato e a mirabolanti accelerazioni degne dei Guns ‘N’ Roses: certamente un ottimo biglietto da visita. ”Late Heavy Bombardment” prosegue a suon di bordate thrash vecchia scuola, valorizzate dallo screaming letale di Jon e dal folle percussionismo di James, prima di un breve e soffuso passaggio strumentale che fa da intro alla forsennata “The Last Universal Ancestor”: aspra, cattiva e vagamente DevinTownsend-iana, soprattutto nel bel finale che riscatta una prima metà a dire il vero non brillantissima.
 
“Oxygenation” e “Aeons Of Man” partono all’insegna della pace eterea, con un coté strumentale spaziale e nel contempo vellutato e le migliori tra le poche partiture canore in clean di tutto l’album, pronte in ogni caso a subire un crescendo molto efficace e ancora una volta di marca towsendiana (seppur il Devin non utilizzi praticamente mai le tonalità ultrasoniche tipiche di Jon). Nel mezzo cedono, purtroppo, il passo le due composizioni più in ombra di “Earth”. La N.5, “Powered By Fate”, non è da buttare in senso assoluto ma risulta un po’ anonima e finisce per mostrare la corda andando a mescolare gli stessi ingredienti delle precedenti tracce in maniera semplicemente meno efficace. La successiva “Bookended By Extinction” è, al contrario, un furioso intermezzo a base di black/death freddo e inumano che “regala” ad “Earth” due minuti abbondanti di pura e claustrofobica oscurità, tutto sommato nemmeno troppo a tema con il resto delle tracce in scaletta.
 
Cambia decisamente registro il finale d’album, riservato ad una lunga (oltre nove minuti) suite dal sapore progressivo, nella quale parti strumentali semi-acustiche si intrecciano in maniera discretamente interessante con il metal futuribile dei Monsterworks, in vista di una chiusura a tutta potenza.
 
Ci sono grandi idee in “Earth”, tuttavia l’impressione che, una volta ascoltati i primi quattro brani, il disco in questione tenda ad accartocciarsi un po’ su se stesso rimanendo a corto di fiato, è palpabile. Nella seconda metà fa un’ottima figura la sola “Aeons Of Man” (comunque plasmata sul canovaccio della precedente “Oxygenation”) mentre la stessa suite finale, pur interessante, risulta probabilmente sovradimensionata in termini di minutaggio rispetto al contenuto effettivo. Un lavoro più che discreto, insomma, che manca tuttavia della sintesi e della verve continuativa di cui una proposta del genere ha bisogno per poter essere apprezzata senza annoiare o cadere nella trappola della ripetitività. Se cercate tra prodotti di generi affini o limitrofi, di certo ascoltando l’ultimo Periphery o l’ultimo di Mr. Townsend, troverete pane di maggior qualità (e longevità) per i vostri denti.

Stefano Burini

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