Recensione: Earthbeat
Potenza, potenza e ancora potenza.
Questa, la base inamovibile sulla quale erigere il proprio devastante muro di suono, per gli svizzeri Colossus Fall. “Earthbeat” è il loro secondo full-length, che segue a distanza di quattro anni il debut-album “Hidden Into Details”.
Difficile riuscire a definire compiutamente il loro stile, che si barcamena fra più generi *-core: metalcore, deathcore e hardcore. Il che non significa che non abbiano le idee chiare su che cosa mettere in campo. Al contrario, sembra che essi non si curino di appartenere a una… squadra invece che a un’altra. Un bel punto a loro favore, poiché il terrificante suono di “Hidden Into Details” è assolutamente personale, figlio di un carattere forte e deciso, immutabile al variare dei brani. Si può quindi affermare con certezza che il combo di Ginevra sia riuscito a creare qualcosa di leggermente diverso dai soliti cliché, proponendo una commistione degna di nota in quanto rappresentativa, come detto, di un marchio di fabbrica individuabile con relativa facilità in mezzo a tanti altri.
Ovviamente non mancano i rimandi a dettami inamovibili in ambito *-core, come i terremotanti breakdown e, soprattutto, l’incedere a sobbalzi determinato dalla continua, o quasi, applicazione degli stop’n’go, allineati con costanza lungo tutta la durata del platter. Con ciò, determinando un sound dalla potenza esorbitante, addirittura pazzesca, sprizzante energia allo stato puro da tutti i pori.
Un sound accompagnato dall’alto da linee vocali possedute da un growling immutabile che però solo growling non è. Anche in questo caso, nella poderosa ugola di Mathieu coesistono growling, come detto, ma anche screaming e harsh vocals. Difficile riuscire a descrivere per bene ciò che esce dalla sua stentorea gola se non, di nuovo, potenza, potenza e ancora potenza, come nella formidabile ‘They Knew Not’; menzionata non a caso in quanto unico episodio in cui ci sia un po’ di melodia. Da buoni esteti dell’hardcore, difatti, i Nostri si tengono a debita distanza da tutto ciò che è armonia, orecchiabilità. Micidiale il lavoro delle chitarre di David e Philippe, clamorose segaossa che triturano in continuazione riff su riff, fornendo al sound dell’ensemble il vigore necessario per innescare l’esplosione di song dirompenti fra le quali, per esempio, si può citare l’opener-track, ‘Darkness Swirled Around Us’. Tuttavia, quello che fa davvero paura è il binomio basso/batteria, curato rispettivamente da Albert e Christophe Laureau, capace di generare onde telluriche capaci di scuotere anche un carro armato. ‘1956’ e ‘Basorexia’ ne sono una dimostrazione, con le sei asce a disegnare ammennicoli e orpelli totalmente dissonanti, calibrati poco sopra a uno sterminato oceano di watt.
Un suono dal grande valore tecnico, insomma, che mitraglia in continuazione pezzi d’obice in piena faccia, mettendo assieme grande perizia tecnica e immensa gittata di fuoco.
A una bravura così marcata nel creare uno stile perfettamente formato non si accompagna pari abilità compositiva nel senso che, a parte la già menzionata ‘They Knew Not’ – sfiorata da un qualcosa in più che la rende piacevole da ascoltare e relativamente facile da ricordare – , si sommano brani la cui unica funzione pare essere quella di radere al suolo tutto e tutti, e basta. Un po’ poco, se si vuole inquadrare il platter a 360°, osservandolo con le budella a pezzi per cercare qualche elemento davvero interessante.
Alla fine non è semplice affibbiare un giudizio a “Hidden Into Details” poiché possiede molte qualità, improntate principalmente sulla ricerca della massima potenza erogabile da una normale strumentazione rock. Difettando, però, nella costruzione di song dotate di un songwriting originale, efficace e destinato a durare nel tempo. In questo, forse, i Colossus Fall potrebbero migliorare, chissà.
Daniele “dani66” D’Adamo