Recensione: Earthborn Evolution
Allora, precisiamo subito una cosa: qual è la caratteristica di base che descrive il technical death metal di oggi? La prevedibilità. Il prodotto metallico quindi, l’eccellenza per snob musicisti chic, il concetto elitario di ‘musica ancora più per pochi dentro la musica per pochi’ si riduce a un gran barile di fumo? Ebbene sì, e addirittura il fumo dentro questo barile s’impregna, assume i connotati dell’alcool precedentemente contenuto dal contenitore e ubriaca l’ascoltatore medio facendogli credere di stare ascoltando chissà cosa. Tornando poi sulla Terra, smaltita la sbornia cosa rimane? È presto detto: un disco di technical death metal che suona come un disco technical death metal. Punto, fine della trasmissione. Volete sapere altro? Ok, è un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo.
Partiamo dalla base, da come descriveremmo il genere a un ipotetico alieno sbarcato oggi sulla Terra che di metal non conosce un emerito niente (per non dire un’emerita ‘minchia’, siamo educati…): sicuramente la prima cosa da dire sarebbe il fatto che i Necrophagist non sono mai esistiti, il secondo disco non l’hanno mai neanche iniziato e tutto il mondo ci sta credendo dai tempi della guerra fredda. Poi? Produzione limpida e cristallina, chitarre leggermente in secondo piano, sprazzi di melodia apparentemente ricercati, basso fretless (senza tasti) dominante e una batteria piuttosto articolata suonante più o meno 612 colpi al secondo. Poi? Ci sono sporadici stacchetti pseudo fusion, una capacità di esecuzione generale parecchio sulle righe, assoli che sciorinano scale su scale anche loro a 612 note al secondo e l’uso generico a livello di riffing delle solite strutture e, soprattutto, dei soliti pattern. Ciliegina sulla torta il cantante che, per qualche oscuro motivo, sembra sempre uno preso e messo lì a caso. Così, per fare vedere che c’è. Il suo timbro è totalmente anonimo e monocorde, esegue sempre due, e diciamo ben due voci diverse (growl e scream); si sa sempre quando sta per entrare, per uscire, per fermarsi e anche quando ha preso un caffè durante le registrazioni.
Detto, questo, applicate le regole a piacimento e otterrete praticamente il 90% delle band del genere. Ciò che le diversifica è solo la capacità di esecuzione maturata negli anni. A causa di un qualche strano concetto di imprinting nato male, questo è un certo tipo di musica che attira per la maggior parte altri musicisti che, davanti a cotanta grazia, gridano al capolavoro allibiti. Un luogo comunissimo sui musicisti metallari è il loro amore e la loro totale dedizione per ciò che non saranno in grado di suonare neanche fra tre secoli. Ciò potrebbe anche avere un senso, ma di certo non regala idee a questo “Earthborn Evolution”. I Beyond Creation, gruppo discograficamente giovane e qui al secondo album, dimostra una grande maturità esecutiva, al contrario di quella compositiva. Un concetto già espresso lo è a prescindere indipendentemente dal numero delle note suonate, e qui casca l’asino, perché la band ha una personalità pari a zero e non offre niente che non sia già stato suonato, talvolta in maniera addirittura uguale (qualcuno ha detto Obscura?). Si può anche essere pignoli e scindere il già suonato buono da quello non buono, ordinaria amministrazione al giorno d’oggi; ci possiamo quindi collocare nel primo sottoinsieme senza infamia e senza lode.
Oggi da una band con questo livello tecnico non ci si può e non ci si deve accontentare di un’opera del genere. È sacrosanto invece pretendere un’idea, una semplice idea che qui non arriva mai, e il tedio inizia a regnare sovrano anche dopo innumerevoli ascolti. La band stessa non è più una sorpresa neanche per se stessa: un conto è debuttare in questa maniera, un altro è continuare in questa maniera dopo un debutto in questa maniera. Ci si aspetta un guizzo che qui non arriva mai. Probabilmente ai fan andrà bene così, ma il tutto non deve essere esente da critiche. Anzi, si può indorare la pillola rimandando a un certo “Autotheism” uscito nel 2012, in cui sicuramente si esegue meno ma si crea con risultati incredibili, questa però è un’altra storia.
Il giudizio quindi non può essere negativo ma nemmeno positivo: avete presente alcuni finali di film in cui la telecamera si allontana verso l’alto? Ecco, più alta sarà la visuale più farete fatica a distinguere i Beyond Creation, ma vedrete chiaramente i Faceless. I Necrophagist no, perché la scritta ‘The End’ vi ricorda ancora una volta che non sono mai esistiti, eppure tutti cercano di emularli. La mancanza di aggiunte alla cara e vecchia proposta di “Epitaph” fa quasi pensare che dietro i dischi technical ci siano proprio i Necrophagist sotto falso nome, ma ok, fermiamo qui il delirio, ci penserà “Voyager” a fare chiarezza.
Gianluca Fontanesi