Recensione: Eat Dog Eat
Per quanti ancora non li conoscessero, i Fastway si sono formati nel 1982 in seguito all’uscita di “Fast” Eddie Clarke dai Motörhead e di Pete Way dagli UFO. Il primo, nonostante il grande successo ottenuto con “Ace Of Spades” prima e “Iron Fist” poi (e il live “No Sleep ‘Til Hammersmith”), era ormai ai ferri corti con Lemmy e la decisione di quest’ultimo di realizzare la cover del classico country “Stand By Your Man” con Wendy O’ Williams, non venne presa affatto bene da Clarke… Il secondo invece, dopo aver raggiunto vette per molti inarrivabili con “Light’s Out” e il conseguente leggendario live “Strangers In The Night”, stava vivendo il periodo più buio negli UFO con l’abbandono del grande Michael Schenker e l’uscita di un paio di album sottotono. Way non condivideva il generale ammorbidimento del songwriting (in particolare su “Mechanix”) e scelse di andarsene. Tuttavia l’avventura nei Fastway per lui durò pochissimo poiché, prima ancora di entrare negli studi di registrazione, fece le valigie per approdare alla corte di Ozzy Osbourne. Il buon Clarke non si perse d’animo e, mantenuto il monicker, arruolò il cantante irlandese Dave King, Jerry Shirley (Humble Pie) alla batteria, Charlie McCracken (Taste) al basso.
Dal 1983 al 1990 (anno del loro scioglimento) nonostante vari cambi di line-up i Fastway pubblicano ben sei album di un genuino hard & heavy d’ispirazione zeppeliniana (influenza enfatizzata dallo stile dell’abile King), tra cui due classici come l’omonimo debutto e “All Fired Up” del 1984, la colonna sonora del film “Morte a trentatre giri” (“Trick Or Treat”, 1986) e il conclusivo “Bad Bad Girls” del 1990, nel quale l’axeman s’è avvalso della collaborazione di alcune musiciste delle Girlscool e di Nigel Glocker (Saxon). Da allora ha tentato a più riprese (ma con scarso successo) di riportare in auge il nome del suo gruppo ma, a parte qualche esibizione live, bisognerà aspettare circa venti anni prima di per poter parlare di comeback. Il chitarrista dalla chioma argentea, infatti, recentemente ha fatto il suo ritorno accompagnato da Toby Jepson (Little Angels, Gun) alla voce e al basso e Matt Eldrige alla batteria, con questo nuovo “Eat Dog Eat”.
La partenza è delle migliori con “Deliver me”. Gran bel brano pieno di groove che mette in mostra un Clarke in grande spolvero. La sensazione, fin dalle prime note, è che il Nostro abbia cercato di riallacciarsi musicalmente ai primi due classici della band, ma che non si sia neanche scordato del suo avvicinamento a sonorità a stelle e strisce (come fece da “On Target” del 1988, in poi). Le tracce che compongono l’album si basano in primis su riff graffianti e polverosi memori della lezione impartita dagli Zeppelin e dai Bad Company, che tuttavia finiscono per ricordare forse più le venature blues/hard rock di gruppi statunitensi come i Badlands. In questo caso la responsabilità è da attribuire anche all’ottimo cantato di Jepson, voce calda, potente e bluesy, forte di ritornelli dannatamente ficcanti. Strutture semplici e dirette e sonorità che ci riportano all’hard dei seventies: prendiamo ad esempio “Fade Out” o “Leave The Light On”. Quest’ultima poi parte con un riff che sembra quasi uscito dalla sei corde di Angus Young e poi sfocia in un refrain che, ai fan dei Priest, riporterà (con piacere) senz’altro alla mente quello di “Devil’s Child”. Più melodica, ma non per questo meno coinvolgente “Loving Fool”, davvero validi i soli: pur senza mai sfoggiare virtuosismi l’axeman riesce ora ad amplificare il suo feeling, ora a far decollare le note del brano. Un sognante arpeggio ed una parte acustica cantata egregiamente dal vocalist, introducono “Dead And Gone”. All’ingresso della batteria però la canzone si trasforma, andando a ripescare da un brano come “Misty Mountain Hop” (Led Zeppelin). Si prosegue con uno degli episodi più riusciti, “Sick As A Dog” ed ecco riaffiorare reminiscenze ‘motörhead-iane’ dei tempi che furono. Davvero catchy, ancora una volta, il ritornello che vi si stamperà in testa fin dai primi ascolti. L’album poi scorre piacevolmente anche se con qualche momento di stanca, ma senza mai annoiare veramente. Convincente il cupo riff di “Do You Believe”, brano ritmato che finalmente mette un po’ più in mostra il preciso lavoro di Eldrige, anche se il talento di Bonham per lui probabilmente resterà una chimera. Apprezzabile anche la conclusiva “On And On”, con una strofa sulla falsariga di “Tales Of Brave Ulysses” dei Cream e un refrain auto celebrativo di commiato veramente accattivante.
Tirando le somme, “Eat Dog Eat” è sicuramente un album derivativo (ma a questo eravamo abituati) e non sempre la carica che scaturisce dai brani è in grado di eguagliare i fasti dei primi due album. Tuttavia si rivela assolutamente piacevole e sono convinto che non rimpiangerete di aver buttato via un quarto d’ora della vostra vita concedendogli un ascolto, perché scorre via che è una bellezza. Non un ritorno in grande stile per i Fastway, quindi, ma estremamente dignitoso.
Orso “Orso80” Comellini
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Track-list:
1. Deliver me 4:41
2. Fade Out 4:05
3. Leave The Light On 3:55
4. Loving Fool 4:30
5. Dead And Gone 5:49
6. Sick As A Dog 3:44
7. Freedom Song 3:52
8. Do You Believe 4:04
9. Love I Need 4:37
10. On And On 3:53
All tracks 43 min. ca.
Line-up:
Fast Eddie Clarke – Guitars
Toby Jepson – Vocals, Bass
Matt Eldrige – Drums