Recensione: Ecdysis

Di Vittorio Sabelli - 18 Novembre 2014 - 20:53
Ecdysis
Band: Horrendous
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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64

Horrendous!

Un nome che lascia l’acquolina in bocca, made in U.S.A. e alle spalle un demo “Sweet Blasphemies” e un primo lavoro su ‘lunga distanza’ “The Chills” del 2012. La copertina del nuovo lavoro “Ecdysis” è stupendamente inquietante, a mio avviso tra le più interessanti del 2014, ma cosa si celerà al suo interno?

Immergendosi nell’ascolto la prima cosa che risalta è l’approccio vocale che si accosta in maniera quasi ossessiva a Mr.Asphyx Martin Van Drunen. E non è un caso che molte band della nuova guardia facciano leva su un cantato simile all’ex Pestilence come modello da seguire e imitare. Il sound, piuttosto scarno e ‘non compresso’ si lascia ascoltare piacevolmente, tra l’altro aiutato da una buona, e a tratti ottima, vena compositiva della band, anche se per la maggior parte i brani alternano delle idee interessanti ad altre che riprendono abbastanza fedelmente gesta già compiute dai padri del genere.

L’opener “The Stranger” inizia con un doom nel quale la chitarra disegna una soave melodiacol sapore di déjà-vu, ma ben presto la poesia è interrotta da un riff e un medium-tempo di facile recezione sul quale irrompe la voce di Herring che, in accoppiata col basso, lancia il brano in una cavalcata old-school. Un inizio senza troppe pretese che si trasforma in un tappeto sul quale la chitarra solista interviene in maniera decisa, e lo farà piuttosto spesso nell’arco dell’intero disco. E via verso una sezione slow ben colorata dalla batteria di Knox che conduce verso il finale.

La successiva “Weeping Relic” è un omaggio a ritmiche e riff di chiaro stampo svedese con cambi di tempo che disegnano la parte centrale prima di approdare sulla sei corde solista che stempera momentaneamente la sua furia.

“Heaven’s Receit” sembra prendere in prestito idée dall’ultimo periodo di Chuck tra tempi dispari e arpeggio atonali, anche se per buona metà il brano fatica a decollare dando solo false impressioni prog prima di ricorrere nuovamente a un solo melodico.

“Resonator” potrebbe invece essere un brano egli Asphyx in tutto e per tutto, ascoltare per rendersi conto di quanto siano simili!

Mentre “The Vermillion” è uno strumentale in cui le chitarre acustiche disegnano ottime melodie, intersecate tra arpeggi e armonie ultra terrene.

“Nepenthe” invece va a tormentare il periodo “Heartwork” dei Carcass, anche se il brano non ha uno sviluppo degno di nota, mentre “Monarch” risulta vario e ricco di spunti intriganti soprattutto nella parte della batteria. “When The Walls Fell” è il secondo brano strumentale: semplice e dritto con un main riff hard-rock, al quale si aggiunge un solo di chitarra non particolarmente entusiasmante.

“Pavor Nocturnus” è a mio avviso il brano da cui la band dovrebbe prender spunto per far esplodere il suo talento: un trip senza spazio nè tempo che sfocia in una cavalcata semplice e melodica, dopo aver assaporato poliritmie e progressioni prog, stop e ripartenze improvvise…insomma, una buona base per sviluppare un discorso più ampio e articolato nelle prossime produzioni. “Titan” è un finale epico che si snoda in una vera e propria cavalcata death metal d’altri tempi, lento e interpretato, il brano conduce verso il finale in maniera convincente.

Per buona parte del disco si riscontrano fin troppe somiglianze a destra e manca con band storiche, mentre nella parte finale la band sembra proiettarsi verso nuovi mondi più adatti a render la loro musica unica.

Speriamo vivamente che ciò accada.

Vittorio Sabelli 

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