Recensione: Echoes From Afar
La risposta francese ai Symphony X? La band in grado di colmare il vuoto lasciato dai compianti Nevermore? Se immaginassimo di mescolare i connotati dei citati mostri sacri, togliendo dall’equazione l’eccessivo tecnicismo dei primi e la claustrofobia compositiva dei secondi, questa parrebbe una ricetta vincente. Ebbene, questi sono i Parallel Minds e questo è il loro Echoes From Afar.
Apriamo le danze con “Feel The Force”. L’opener di ben 9 minuti esordisce con un intro orchestrale laciando spazio a un power metal che si impone rapidamente con una chitarra roteante che sostiene una cavalcata energica. Le orchestrazioni e i backing vocals ricordano i Kamelot di The Black Halo. Il ritornello è a dir poco epico. Un assolo di chitarra praticamente perfetto a cura di Grégory Giraudo viene eseguito senza strafare e in maniera perfettamente calibrata con una scelta di note che trasuda buon gusto. Il tutto sostenuto da una ritmica semplice ed efficace. Il cantato di Stéphane Fradet cresce di intensità a ogni minuto. Un breakdown strumentale con una linea di violino (forse un plugin ma non si può chiedere tutto dalla vita) lascia spazio a un’escalation vocale con cori prodotti magistralmente. Gli acuti toccati da Stéphane sono impressionanti.
Con “No Fate” fa capolino un thrash metal arricchito da un certo richiamo alla follia alla Annihilator. Qui il sound progressivo della band è presente in modo massiccio. Il riff principale è trascinante e presenta sonorità futuristiche di grande effetto. Da notare inoltre la sezione centrale del brano in tempo irregolare.
La fa nuovamente da padrona il thrash con “Angel’s Battle”, presentando uno di quei riff da riascoltare per settimane, che decolla in maniera inaspettata sbucando fuori da un intro di tastiera. La struttura del brano è un botta e risposta tra la melodiosa linea vocale e riff progressivamente più feroci. Ancora un echo dei già citati Annihilator (quelli più melodici di Set The World On Fire dove i vocals paiono proprio riprendere il filone di Aaron Randal). Il risultato è un brano incredibilmente fresco, perfezionato dall’ottimo assolo di Grégory Giraudo.
Si cambia completamente registro per proiettarci nell’atmosfera futuristica e ariosa di “Stay”. Con tale variazione i nostri segnano un colpo da maestro: la morbidezza di questa ballad spicca il volo, l’emotività della voce e la superba chitarra solista tolgono ogni dubbio circa la preparazione della combo francese.
Riecco un riff graffiante degno dei migliori Rage con “Monkey On My Back”. La voce sofferta nelle strofe precede un ritornello gonfio di cori in stile metalcore che aggiunge più mordente al prodotto. Quando si pensava di aver già colto l’essenza del brano, a partire dal breakdown a metà del terzo minuto la band rimescola le carte in tavola e il crescendo strumentale è micidiale. Ogni strumento gioca la sua parte perfettamente e il risultato è frutto dello sforzo collettivo della band. Un lavoro da fuoriclasse.
La semplice chitarra acustica di “The Hiding Place” ci porta via dalla caos del brano precedente. Solo ora, con la nuda voce ci ricordiamo che stiamo ascoltando una band francese (emerge l’inevitabile accento). Anche questa ballad funziona bene: il mood è sereno all’inizio, senza eccessivo pathos, fino a quando non subentra il resto della band, conferendo connotati epici al ritornello.
I Parallel Minds toccano un nuovo momento frenetico con “Our Last Resort”, qualitativamente all’altezza del resto dell’album senza però lasciare il segno, a eccezione della contagiosa linea melodica nel ritornello. Questo fino al quarto minuto dove la sezione strumentale diventa puro godimento.
Una ritmica serrata ci trascina dentro “Mythic River”, altro momento elevato dell’album, dove il lato Nevermore della band emerge soprattutto nella seconda metà, colmato da un nuovo meraviglioso assolo della sei corde.
Mentre l’album si avvia verso il termine, la pienezza e la maestosità si concretizza più che mai: “Provider Of Sin” si muove con un riff cadenzato di matrice doom metal. Il ritornello è un vero e proprio inno coinvolgente arricchito dai backing vocals in latino. Il tutto è seguito da una cavalcata metal nella sezione centrale. Un colosso fino all’ultima nota.
Il finale dell’album è affidato ai dodici minuti di “The Greater Gift” che rappresenta una fusione perfetta della moltitudine di stili metal presenti nell’album. Dopo l’intro caratterizzato da frequenti cambi di ritmo e di tempo, il brano si prende il suo spazio con un momento intimo guidato dal pianoforte che sostiene un duetto maschile / femminile. Verso il nono minuto sembra addirittura di sentire i Radiohead seguiti da secondo un duetto vocale alla Anathema e infine un omaggio ai Pain of Salvation di The Perfect Element per mezzo di un uso caotico dei cori. Questo rappresenta sicuramente l’apice dell’album grazie alle melodie ai limiti del commovente sostenute da passaggi acustici e sinfonici alternati a momenti duri e abrasivi.
Nel complesso abbiamo percorso un viaggio straordinario nella diversità musicale e nella molteplicità emotiva di una grande band attraverso un’ampia esibizione di virtuosismo progressivo. Echoes From Afar è un lavoro superbo e altamente melodico da inserire tra gli album dell’anno. Praticamente senza punti deboli.